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canto ventesimosettimo. 369

117 Disse Turpin: Quale è la prima cosa?
     Rispose Orlando: Majestatis laesae,
     Idest in Carlo verba injuriosa;
     E l’altra è la sorella del Marchese
     Menata non aver come mia sposa;
     Queste son verso Iddio le prime offese:
     L’altra un peccato che mi costa amaro,
     Come ognun sa: ch’io uccisi Donchiaro.

118 Disse Turpino: E’ ti fu comandato;
     E piace tanto a Dio la obbedienzia,
     Che ti fia facilmente perdonato:
     Di Carlo e della poca riverenzia,
     Io so che lui se l’ha sempre cercato:
     D’Alda la bella, se in tua coscienzia
     Sono state tue opre e pensier casti,
     Credo che questo appresso a Dio ti basti.

119 Ha’mi tu altro a dir che ti ricordi?
     Rispose Orlando: Noi siam tutti umani,
     Superbi, invidiosi, irosi, ingordi,
     Accidiosi, golosi e in pensier vani,
     Al peccar pronti, al ben far ciechi e sordi:
     E così ho de’ peccati mondani,
     Non aver per pigrizia o mia secordia
     L’opere usate di misericordia.

120 Altro non so, che sien peccati gravi.
     Disse Turpino: E’ basta un paternostro,
     E dir sol miserere, o vuoi, peccavi;
     Ed io t’assolvo per l'officio nostro
     Del gran Cefas, che apparecchia le chiavi,
     Per collocarti nello eterno chiostro.
     E poi gli dette la benedizione.
     Allora Orlando fe’ questa orazione.

121 O Redentor de’ miseri mortali,
     Il qual tanto per noi t’umiliasti,
     Che, non guardando a nostri tanti mali,
     In quella unica Virgine incarnasti,
     Quel dì che Gabriele aperse l’ali,
     E la umana natura rilevasti;
     Dimetti il servo tuo, come a te piace,
     Lasciami a te, Signor, venire in pace.