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376 il morgante maggiore.

152 Orlando ficcò in terra Durlindana,
     Poi l’abbracciò, e dicea: Fammi degno,
     Signor, ch’io ricognosca la via piana;
     Questa sia in luogo di quel santo legno
     Dove patì la giusta carne umana,
     Sì che il cielo e la terra ne fe’ segno;
     E non sanza alto misterio gridasti:
     Elì, Elì; tanto martír portasti.

153 Così tutto serafico al ciel fisso,
     Una cosa parea transfigurata,
     E che parlassi col suo Crucifisso:
     O dolce fine, o anima ben nata,
     O santo vecchio, o ben nel mondo visso.
     E finalmente, la testa inclinata,
     Prese la terra come gli fu detto,
     E l’anima spirò del casto petto;

154 Ma prima il corpo compose alla spada,
     Le braccia in croce, e ’l petto al pome fitto;
     Ma poi si sentì un tuon, che par che cada
     Il ciel, che certo allor s’aperse al gitto;
     E come nuvoletta che in su vada,
     In exitu Israel, cantar, de Egitto
     Sentito fu dagli angeli solenne;
     Che si cognobbe al tremolar le penne.

155 Poi apparì molte altre cose belle,
     Perchè quel santo nimbo a poco a poco
     Tanti lumi scoprì, tante fiammelle,
     Che tutta l’aer pareva di foco,
     E sempre raggi cadean dalle stelle;
     Poi si sentì con un suon dolce e roco
     Certa armonia con sì soavi accenti,
     Che ben parea d’angelici instrumenti.

156 Turpino e gli altri accesi d’un fervore
     Eran, che ignun già non parea più desso:
     Perchè quel foco dello eterno amore,
     Quando per grazia ci si fa sì presso,
     Conforta e scalda sì l’anima e ’l core
     Che ci dà forza d’obliar sè stesso;
     E pensi ognun quanto fussi il lor zelo,
     Veder portarne quell’anima in cielo.