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392 il morgante maggiore.

232 E’ non si vide mai più spade a Roma
     Addosso a qualche toro, quando in caccia
     Isciolto giù dal plaustro quel toma,
     Quando si fa la festa di Testaccia;
     Tanto che infine la barba e la chioma
     Gli pela alcun, che l’elmo gli dilaccia,
     E chi voleva pur cavargli il core,
     Ma non poteva, tanto era il furore.

233 E come Balugante morto fu,
     I Saracin fuggivon d’ogni banda;
     E s’io non l’ho qui ricordato più,
     Il valoroso Arnaldo di Bellanda
     Molti Pagani il dì in Cafarnaù,
     Anzi piuttosto allo Inferno giù manda:
     E così fu questa nuova battaglia
     Di Balugante un gran fuoco di paglia.

234 Furon costor presto abbattuti tutti,
     O fuggiron per boschi e per campagne;
     E Balugante andò cercando frutti,
     Che il punson più che ricci di castagne:
     E poi che Carlo gli vide distrutti,
     Determinò di passar le montagne;
     E inverso Siragozza cavalcorno,
     E in ogni luogo i paesi guastorno.

235 A fuoco, a sacco, a morte, in preda, in fuga,
     Le donne, i moricini e le fanciulle,
     Sanza trovare ignun dov'e’ rifuga,
     Ammazzavano insin drento alle culle:
     Carlo dicea ch’ogni cosa si struga,
     Pur che Marsilio e ’l suo regno s’annulle.
     E così sempre per tutto il viaggio
     Parean corsari in terra a far carnaggio.

236 Hai tu veduto innanzi alla tempesta
     Fuggir pastor con le lor pecorelle?
     Così fuggien la morte manifesta
     Quelle gente cacciate meschinelle;
     E insino a Siragozza ignun non resta,
     La notte e ’l giorno sempre in su le selle:
     E passan valle, e piagge, e colli, e monti,
     E in ogni parte fer tagliare i ponti.