232 E’ non si vide mai più spade a Roma
Addosso a qualche toro, quando in caccia
Isciolto giù dal plaustro quel toma,
Quando si fa la festa di Testaccia;
Tanto che infine la barba e la chioma
Gli pela alcun, che l’elmo gli dilaccia,
E chi voleva pur cavargli il core,
Ma non poteva, tanto era il furore.
233 E come Balugante morto fu,
I Saracin fuggivon d’ogni banda;
E s’io non l’ho qui ricordato più,
Il valoroso Arnaldo di Bellanda
Molti Pagani il dì in Cafarnaù,
Anzi piuttosto allo Inferno giù manda:
E così fu questa nuova battaglia
Di Balugante un gran fuoco di paglia.
234 Furon costor presto abbattuti tutti,
O fuggiron per boschi e per campagne;
E Balugante andò cercando frutti,
Che il punson più che ricci di castagne:
E poi che Carlo gli vide distrutti,
Determinò di passar le montagne;
E inverso Siragozza cavalcorno,
E in ogni luogo i paesi guastorno.
235 A fuoco, a sacco, a morte, in preda, in fuga,
Le donne, i moricini e le fanciulle,
Sanza trovare ignun dov'e’ rifuga,
Ammazzavano insin drento alle culle:
Carlo dicea ch’ogni cosa si struga,
Pur che Marsilio e ’l suo regno s’annulle.
E così sempre per tutto il viaggio
Parean corsari in terra a far carnaggio.
236 Hai tu veduto innanzi alla tempesta
Fuggir pastor con le lor pecorelle?
Così fuggien la morte manifesta
Quelle gente cacciate meschinelle;
E insino a Siragozza ignun non resta,
La notte e ’l giorno sempre in su le selle:
E passan valle, e piagge, e colli, e monti,
E in ogni parte fer tagliare i ponti.