252 E poi ch’ognun fu ritirato addietro:
O Carlo, disse io vo’ che mi conceda
(Se mai grazia da te nessuna impetro,
Sì che tu sia di maggior gloria ereda,
Perchè a tanto signor, tanto alto scetro
Femina pare alla fine vil preda)
Che la reina e Luciana sia
Libera data nella mia balía.
253 Carlo rispose: O figliuol mio diletto,
Come poss’io negar le cose oneste?
Io vo’ che il fatto sia prima che 'l detto,
Veggo che amore ancor ti sforza e investe.
E per venire, uditore, allo effetto,
E’ perdonoron solamente a queste
Di tanta gente in tutta la cittade:
Il resto, al fuoco e al taglio delle spade.
254 Era a veder la notte Siragozza
A fuoco come Soddoma e Gomorra,
E tanto più ch’ella è pel sangue sozza,
Che par per tutto insino al fiume corra;
Però che alla franciosa qui si sgozza,
E così arde come al vento forra
Di secche piante insino alle radice
Questa città, che fu già sì felice.
255 Parea talvolta che si dividessi
L’una fiamma dall’altra, come è detto
De’ due Teban già in una pira messi.
E poi saltava d’uno in altro tetto,
Come se un fuoco distinato ardessi:
E che Tesifo e Megera ed Aletto
Vi fusse, e Cerber latrassi il gran cane,
E vendicassin le ingiurie cristiane.
256 Già si vedevan per terra le case
Dirute ed arse e desolate tutte,
Che pietra sopra pietra non rimase:
Quante magne ricchezze eran distrutte!
Quante colonne, piramide, e base
Eran cadute! quanto parean brutte
A veder sotto rimase la notte
Quelle gente arrostite come bòtte!