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408 il morgante maggiore.

17 Ed io meco medesimo disputo,
     Quand’io ho ben raccolta la sua vita,
     Come egli abbi un error tanto tenuto:
     Ma la natura divina è tradita,
     E non ha sanza misterio voluto;
     Chè la sua sapienzia è infinita:
     Credo che Iddio a buon fine permette
     L’opere sante, e così maladette.

18 Però che Carlo per esperienzia
     Dovea molto saper, perchè ne’ vecchi
     Accade e non in giovane prudenzia,
     Poi ch’ella è figurata con tre specchi;
     Avea buon natural, buona scienzia;
     E come il traditor gli era agli orecchi,
     E’ gli credeva ogni cosa a sua posta:
     Sì ch’io non fermo ancor la mia risposta.

19 Molte volte, anzi spesso, c’interviene
     Che tu t’arrechi un amico a fratello,
     E ciò che fa, ti par che facci bene,
     Dipinto e colorito col pennello:
     Questo primo legame tanto tiene,
     Che s’altra volta ti dispiace quello
     E qualche cosa ti farà molesta,
     Sempre la prima impression pur resta.

20 Avea già lungo tempo Carlo Magno
     Tenuto in corte sua Gan di Maganza,
     Ed oltre a questo vi vedea guadagno,
     Però che Gano avea molta possanza,
     E qualche volta gli fu buon compagno:
     E perchè molto può l’antica usanza,
     L’abito fatto d’uno in altro errore
     Facea che Carlo gli portava amore.

21 Altri direbbe: dimmi ancora un poco:
     Gan sapea pur ch’egli avea tradito,
     E ch’e’ doveva alfine ardere il foco:
     Come non s’era di corte partito,
     Acciò che riuscissi netto il giuoco,
     Sendo tanto mascagno e scalterito?
     Credo ch’io l’abbi in altro cantar detto,
     Ch’ogni cosa si fa per un dispetto.