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canto ventesimottavo. 431

132 Sare’ forse materia accomodata
     Con la vita di Carlo tanto eletta
     La vita di tal donna comparata,
     Lucrezia Tornabuona, anzi perfetta,
     Nella sedia sua antica rivocata
     Dalla Vergine eterna benedetta
     Che riveder la sua devota applaude,
     E canta or forse le sue sante laude.

133 Quivi si legge or della sua Maria
     La vita, ove il suo libro è sempre aperto,
     E d’Esdra, di Giuditta e di Tobia;
     Quivi si rende giusto premio e merto,
     Quivi s’intende or l’alta fantasia
     A descriver Giovanni nel deserto;
     Quivi cantano or gli angeli i suoi versi,
     Dove il ver d’ogni cosa può vedersi.

134 Natura intese far quel ch’ella volle,
     Una donna famosa al secol nostro,
     Che per sè stessa sè dall’altre estolle
     Tanto, che manca ogni penna, ogni inchiostro:
     Non la conobbe il mondo cieco e folle,
     Benchè il vero valor chiaro fu mostro,
     Come il Signor che colassù la serra,
     Che adorata l’arebbe in cielo e in terra.

135 Quanti beni ha commessi, a quanti mali
     Ovviato costei, mentre era in vita!
     Però con la sue veste nuziali
     L’anima in cielo a Dio si rimarita,
     Quel dì che il santo messo aperse l’alei
     Per la sua carità tanto infinita:
     Sì che ancor prego che lassù m’accetti
     Tra’ servi suoi nel numer degli eletti.

136 E s’i’ ho satisfatto al suo desio,
     Basta a me tanto, e son di ciò contento:
     Altro premio, altro onor non domando io,
     Altro piacer che di godermi drento;
     E so ch’egli è lassù Morgante mio:
     Però s’alcun malivolo qui sento,
     Adatterà il battaglio ancor dal cielo,
     In qualche modo a scardassargli il pelo.