142 Ben so che spesso, come già Morgante,
Lasciato ho forse troppo andar la mazza;
Ma dove sia poi giudice bastante,
Materia c’è da camera e da piazza:
Ed avvien, che chi usa con gigante,
Convien che se n’appicchi qualche sprazza;
Sì ch’io ho fatto con altro battaglio
A mosca cieca, o talvolta a sonaglio.
143 Non sien dati miei versi a Varro o Tucca,14
E’ basta il Bellincion ch’affermi e lodi,
Che porge come amico, e non pilucca:
I’ guarderò in sul ghiaccio ir con buon chiodi:
Io porterò in su gli omeri la zucca,
Nell’acqua cinto con sicuri nodi;
E farò tanto quanto i savi fanno,
Di perdonare a color che non sanno.
144 Ed oltre a questo e’ ne verrà il mio Antonio,
Per cui la nostra cetra è gloriosa
Del dolce verso materno ausonio,
Benchè si stia là in quella valle ombrosa,
Che fia del vero lume testimonio:
Ognun so che riprende qualche cosa;
Ma io non so s’e’ si son corvi o cigni
I detrattori, o spiriti maligni.
145 Pertanto, io non aspetto il baldacchino,
Non aspetto co’ pifferi l’ombrello,
Non traggo fuori i nomi col verzino,
Com’io veggo talvolta ogni libello;
Quand’io sarò con quel mio Serafino,
Io gli trarrò fuor forse col cervello:
Perchè questo Agnol vi porrà la mano,15
Nato per gloria di Montepulciano.
146 Questo è quel divo e quel famoso Alceo,
A cui sol si consente il plettro d’oro,
Che non invidia Anfione o Museo,
Ma stassi all’ombra d’un famoso alloro;16
E i monti sforza come il tracio Orfeo,
E sempre intorno ha di Parnaso il coro,
E l’acque ferma e i sassi muove e glebe,
Ed a sua posta può richiuder Tebe.