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canto decimonono. 57

62 E cominciò a gridare: Oimè l’occhio:
     Morgante, tu non bei, anzi tracanni,
     Anzi diluvii, ed io sono un capocchio,
     Chè so che ad ogni giuoco tu m’inganni:
     Forse tu stesti aspettare il finocchio?
     Un altro arebbe badato mill’anni:
     Per Dio, che tu se’ troppo disonesto;
     Noi partirem la compagnia, e presto.

63 Se fussin come te fatti i moscioni,
     E’ non bisognere’ botte nè tino;
     E forse tu fai piccoli i bocconi?
     Ma questo non importa come il vino.
     Tu non se’uom da star tra compagnoni,
     Non lasci pel compagno un ciantellino:
     Del liocorno mi rimase il torso,
     Or di due otri te n’hai fatto un sorso.

64 Morgante avea di Margutte piacere,
     E d’ogni cosa con lui si motteggia;
     Dunque Margutte cenò sanza bere,
     E la fanciulla ridendo il dileggia.
     Dicea Margutte: Già di buone pere
     Mangiato ha 'l ciacco. E sottecchi vagheggia:
     E ciò che dice costei, sogghignava,
     Ma con Morgante assai si scorrubbiava.

65 Quando egli ebbon cenato, e’ s’assettorno
     Dintorno al fuoco, e quivi si dormieno,
     Per aspettar che ritornassi il giorno,
     Su certe frasche, e sopra un po’ di fieno.
     L’altra mattina il cammel caricorno,
     E pure inverso il camin lor ne gieno,
     Sanza trovar o vettovaglia o tetto,
     Tanto che pur la fanciulla ha sospetto.

66 E dicea: Questa selva è tanto folta,
     Morgante, ch’a guardarla non m’arrischio.
     Dicea Margutte: Che sent’io? ascolta;
     E’ par ch’i’oda di lontano un fischio.
     Giunsono appresso ove la strada è volta:
     Ecco apparir dinanzi un bavalischio,
     E cominciava gli occhi a sfavillare;
     Morgante fe la fanciulla scostare.