162 Che è d’Astolfo mio, d’Arnaldo, Uggieri,
D’Angiolin di Baiona e del mio Namo?
E del mio caro e gentil Berlinghieri,
Ch’è di Salamon mio, ch’io tanto amo?
Ch’è d’Ottone, Avolio, Avin, Gualtieri,
Che è de’ miei fratei che noi lasciamo
Ricciardo, con Alardo, a Montalbano?
Ch’è di quel traditor del conte Gano?
163 Quant’è che tu ti partisti da Carlo?
Dimmi se Gano è tornato a Parigi,
E s’egli attende, al modo usato, a farlo
Seguire i suoi consigli e’ suoi vestigi;
Tanto che possi alla mazza guidarlo:
Ha fatto l’arte il nostro Malagigi
A questi tempi? e detto dov’io sia,
E com’io abbi qua gran signoria?
164 E come Persia ho presa e l’Amostante
Dopo pur molta fatica ed affanno?
Allor si rizza e risponde Morgante,
Che Carlo e’ paladin ben tutti stanno,
E Malagigi come negromante
Detto gli avea come le cose vanno:
E che Gano era scacciato e in esilio,
Che Carlo nol vuol più nel suo concilio.
165 E come la figliuola del Soldano,
Che si chiamava la famosa Antea,
Si stava con Ricciardo a Montalbano,
E grande onore il popol le facea,
E quel ch’ella avea fatto fare a Gano:
Della qual cosa Orlando si ridea.
E così inverso il padiglione andorno,
E molte cose ragionaro il giorno.
166 Quivi Rinaldo, Ulivier, Ricciardetto
Abbraccian tutti Morgante lor caro;
Morgante nuove di Francia ha lor detto,
Poi di Margutte molto ragionaro,
Come e’ morì ridendo, il poveretto,
E come insieme pria s’accompagnaro:
E conta d’ogni sua piacevolezza,
E lacrimava ancor di tenerezza.