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canto decimonono. 77

162 Che è d’Astolfo mio, d’Arnaldo, Uggieri,
     D’Angiolin di Baiona e del mio Namo?
     E del mio caro e gentil Berlinghieri,
     Ch’è di Salamon mio, ch’io tanto amo?
     Ch’è d’Ottone, Avolio, Avin, Gualtieri,
     Che è de’ miei fratei che noi lasciamo
     Ricciardo, con Alardo, a Montalbano?
     Ch’è di quel traditor del conte Gano?

163 Quant’è che tu ti partisti da Carlo?
     Dimmi se Gano è tornato a Parigi,
     E s’egli attende, al modo usato, a farlo
     Seguire i suoi consigli e’ suoi vestigi;
     Tanto che possi alla mazza guidarlo:
     Ha fatto l’arte il nostro Malagigi
     A questi tempi? e detto dov’io sia,
     E com’io abbi qua gran signoria?

164 E come Persia ho presa e l’Amostante
     Dopo pur molta fatica ed affanno?
     Allor si rizza e risponde Morgante,
     Che Carlo e’ paladin ben tutti stanno,
     E Malagigi come negromante
     Detto gli avea come le cose vanno:
     E che Gano era scacciato e in esilio,
     Che Carlo nol vuol più nel suo concilio.

165 E come la figliuola del Soldano,
     Che si chiamava la famosa Antea,
     Si stava con Ricciardo a Montalbano,
     E grande onore il popol le facea,
     E quel ch’ella avea fatto fare a Gano:
     Della qual cosa Orlando si ridea.
     E così inverso il padiglione andorno,
     E molte cose ragionaro il giorno.

166 Quivi Rinaldo, Ulivier, Ricciardetto
     Abbraccian tutti Morgante lor caro;
     Morgante nuove di Francia ha lor detto,
     Poi di Margutte molto ragionaro,
     Come e’ morì ridendo, il poveretto,
     E come insieme pria s’accompagnaro:
     E conta d’ogni sua piacevolezza,
     E lacrimava ancor di tenerezza.