172 E ’l polverio n’andò insino alle stelle.
Morgante colla porta si copria,
Come si fa con palvesi o rotelle,
Che’i sassi non gli faccin villania;
Quelle gente di sopra meschinelle,
Chi morto e chi percosso si vedia,
Chi rotto il braccio, e chi il teschio ave’aperto,
E chi da’ calcinacci è ricoperto.
173 Chi mostra il piè scoperto, e chi gambetta,
Chi colle gambe all’erta è sotterrato,
Chi ha tra sasso e sasso qualche stretta
Avuto, e come morto è rovesciato;
Chi sangue fuor per gli occhi e ’l naso getta,
Chi zoppo resta, e chi monco e sciancato:
Era a veder sotto questa rovina
Morti costor com’una gelatina.
174 I terrazzan, che difendon le mura,
Maravigliati fuggon tutti quanti,
E paion tutti morti di paura:
Nostri Cristian si fecion tutti avanti,
Ognun dicea: Può far questo Natura?
Morgante non si muta ne’ sembianti:
E perchè e’ fussi la strada spedita,
Certi canton col suo battaglio trita.
175 E grida al conte Orlando: Andianne drento,
Seguite me, non abbiate sospetto,
Chè Babillona è nostra a salvamento,
Per onta e disonor di Macometto.
I Saracin fuggien pien di spavento
Dinanzi da quel diavol maladetto:
Orlando e tutti gli altri drento entrorno,
E tutti inverso la piazza n’andorno.
176 Era all’entrare un gran borgo di case;
Vero è che tutte son di terra e d’asse;
Di queste ignuna non ve ne rimase,
Che ’l gran Morgante non le fracassasse;
Or pensa a quanti le zucche abbi rase,
Prima che tante case rovinasse:
Di qua di là la mazza mena tonda,
Dovunque e’ passa ogni cosa rimonda.