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canto decimonono. 79

172 E ’l polverio n’andò insino alle stelle.
     Morgante colla porta si copria,
     Come si fa con palvesi o rotelle,
     Che’i sassi non gli faccin villania;
     Quelle gente di sopra meschinelle,
     Chi morto e chi percosso si vedia,
     Chi rotto il braccio, e chi il teschio ave’aperto,
     E chi da’ calcinacci è ricoperto.

173 Chi mostra il piè scoperto, e chi gambetta,
     Chi colle gambe all’erta è sotterrato,
     Chi ha tra sasso e sasso qualche stretta
     Avuto, e come morto è rovesciato;
     Chi sangue fuor per gli occhi e ’l naso getta,
     Chi zoppo resta, e chi monco e sciancato:
     Era a veder sotto questa rovina
     Morti costor com’una gelatina.

174 I terrazzan, che difendon le mura,
     Maravigliati fuggon tutti quanti,
     E paion tutti morti di paura:
     Nostri Cristian si fecion tutti avanti,
     Ognun dicea: Può far questo Natura?
     Morgante non si muta ne’ sembianti:
     E perchè e’ fussi la strada spedita,
     Certi canton col suo battaglio trita.

175 E grida al conte Orlando: Andianne drento,
     Seguite me, non abbiate sospetto,
     Chè Babillona è nostra a salvamento,
     Per onta e disonor di Macometto.
     I Saracin fuggien pien di spavento
     Dinanzi da quel diavol maladetto:
     Orlando e tutti gli altri drento entrorno,
     E tutti inverso la piazza n’andorno.

176 Era all’entrare un gran borgo di case;
     Vero è che tutte son di terra e d’asse;
     Di queste ignuna non ve ne rimase,
     Che ’l gran Morgante non le fracassasse;
     Or pensa a quanti le zucche abbi rase,
     Prima che tante case rovinasse:
     Di qua di là la mazza mena tonda,
     Dovunque e’ passa ogni cosa rimonda.