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canto ventesimo. 95

62 Disse Rinaldo: Solda chi ti pare;
     E torna con l’ostessa a ragionarsi,
     Però ch’ell’era bella e fassi amare,
     E stava con lui molto a motteggiarsi;
     E fece un suo stendardo sciorinare,
     Dove il lion ch’io dissi può mirarsi:
     Questo lion fu veduto in effetto,
     Ed allo ’mperador presto fu detto.

63 A casa un oste, detto Chiarione,
     Sono arrivati cinque viandanti,
     E porton per insegna il tuo lione,
     E non sappiam se si sono affricanti.
     Lo ’mperadore a certi servi impone:
     Menategli qui presi tutti quanti,
     E chi non vuol di lor venirne preso,
     Recatenelo a forza qui di peso.

64 Giunsono all’oste questi Saracini,
     E credonsi legar cinque cavretti,
     O pigliar questi come pecorini
     Sanza arme colle punte degli aghetti:
     Volle a Rinaldo un por le mani a’ crini,
     E crede che costui il cappello aspetti:
     Rinaldo si disserra nelle braccia,
     E con un pugno morto appie’ sel caccia.

65 L’altro, ch’aveva una bacchetta in mano,
     Dette con essa a Rinaldo in sul volto,
     Dicendo: Che fai tu, poltron villano?
     Adunque tu non credi, matto e stolto,
     Ubbidir qui lo ’mperador pagano?
     Rinaldo presto a costui si fu vòlto,
     E ciuffalo per modo nella gola
     Che l’affogò, sanza dir mai parola.

66 Eraven’un, che pon le mani addosso
     Al conte Orlando; Orlando un poco il guata,
     E poi in un tratto da costui s’è scosso,
     E dettegli nel viso una guanciata
     Che gli brucò la carne insino all’osso,
     E cerca se la sala è ammattonata;
     Intanto Ricciardetto, ch’a ciò bada,
     Ed Ulivier tirorno fuor la spada.