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Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/109

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Mio fratello Pietro era rimasto anch’egli nella casa paterna. Ma stavasene in disparte, non riuscendo a nascondere l’orrore che ad esso producevano tutti questi eroi antipapalini.

Garibaldi mi chiamò nel suo Stato Maggiore affidandomi la difesa delle mura da Porta Portese al terzo bastione.

Dopo qualche giorno trasferì Garibaldi il suo Quartier Generale a Villa Savorelli. Frattanto, però, io mi valsi dell’umanità dell’animo suo per sollevar la miseria di molte famiglie povere prive di lavoro, come per far dare dei sacchi di grano ai frati di San Franceso a Ripa che morivano di fame. Così pure da lui ottenni fosse eliminata della trista gente che andava commettendo infamie in nome di Garibaldi.

XIV.

IL TRE GIUGNO.


Nella notte del tre giugno i Francesi, prima ancora che il termine dell’armistizio fosse spirato, si impadronirono di Villa Pamphili facendovi prigioniero in gran parte il corpo di Mellara.

Alle due e mezzo di notte, sentiti crepitare i fucili, correndo salii a porta San Pancrazio. I Francesi già occupavano tutte le ville e case là dinanzi fino sotto il Vascello, compreso il casino dei Quattro Venti. Era questo una vera fortezza.

Trovai che i nostri stavano sulla porta San Pancrazio a disfarne il ponte levatoio, e su una piattaforma dove era un cannone, v’era Garibaldi col colonnello Galletti ed il maggiore Romiti. Egli era molto calmo; ordinò si cessasse la dcmolizione del ponte, mandò un aiutante di campo in città per raccogliere garibaldini. Frattanto impartiva altri ordini; e me