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Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/118

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Alla fine di quella battaglia la gente di casa mia raccolse sul tetto un centinaio di palle di fucile e nel giardino tre palle di cannone. Però, essendo la mia casa così sotto tiro, le palle e le bombe passavano al di sopra del tetto. In una notte insonne, io ne ho contate fino a centosei.

Questi proiettili, girando su se stessi fischiavano prima lentamente, poi sempre più presto man mano che si approssimavano alla caduta.


Appena giorno tornai a San Pancrazio e mi recai alla cereria Savorelli, dove era il Quartier Generale di Garibaldi. Gli feci rapporto di quanto accadeva nella valle, dalla quale io ero convinto non saremmo mai stati assaliti. Garibaldi mi comunicò che i Francesi ancor una volta avevan ripreso il casino dei Quattro Venti. Ma dico male: non tanto era stato ripreso quanto piuttosto i nostri volontari se ne erano andati e, cheti cheti, i Francesi lo avean rioccupato. Non certo per viltà, ma per spensieratezza ed indisciplina, compagne inseparabili dei volontari, questi se ne erano andati a dormire in santa pace, sicuri, forse, che il nemico avrebbe fatto altrettanto.

Con Garibaldi era Galletti con diversi romani. Ed il generale prendendo Galletti per una mano esclamava:

— Voi Romani potete vantarvi di avere in Galletti un eroe bello al pari di un eroe dell’antica Grecia, coraggioso, intelligente, devoto alla Patria...

A me tale quegli apparve e Garibaldi quale divinità di Omero.

Il Generale riprese:

— Ma il nemico non l’avrà il Vascello. Lo affiderò a mani sicure, ad uomini sodi, a Medici.


Così fu.

E, difatti, il Vascello, durante l’assedio, venne dalle batterie nemiche poste al casino dei Quattro Venti, ch’era a tiro di pistola, quasi raso a terra. Quasi ogni notte vi erano assalti sempre respinti. A tre di questi assalti mi son trovato anch’io ed ancor