Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/155

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porta di una scuderia, salutato dal di dentro con un gaio nitrito; ciò che mi fece certo che l’onesto cavallo era giunto alla sua mèta.

Trovar la dimora di Checchetelli non mi fu difficile. Lo destai dicendo:

— Levati! Roma non è più!

— Perdio! mi rispose.

— Ossia — ripresi io — non ci son più Romani. Ci siamo tolti da Mazzini ed abbiamo fatto la fusione col Piemonte.

Rimase sbalordito.

lo gli spiegai, allora, come erano andate le cose. Ed egli:

— Io credo che abbiate rovinato ogni cosa. Ora vi saranno grandi scissure fra coloro che rimarranno con Mazzini e voi. Ci saran delatori e vittime in quantità.

Al che io ribattei:

— È troppo tempo che tu vivi isolato fra queste montagne. Nè puoi chiaramente vederè come si svolgano le cose laggiù. Dovresti fare in modo e maniera di venirtene a Roma, dove tutti ti vogliamo alla testa del partito ragionevole.

Checchetelli fece osservare che mancava di mezzi per poter vivere a Roma. Replicai:

— A questo penseremo noi.

Dopo di che me ne tornai a Roma.


Checchetelli molto non tardò a venire ad iniziare l’opera che da lui attendevamo. Alle sue necessità venne provveduto col procurargli un decoroso posto presso il duca Cesarini, retribuito con trenta scudi mensili, che allora non erano magro stipendio, per riordinargli la biblioteca.


Da quest’epoca fino al 1859 la mia vita fu quasi esclusivamente dedicata all’Arte. Pressochè nulla fu in quegli anni la mia attività politica.

Alla politica tornai, e molto attivamente, solo tra il 1864 ed il 1870, allorquando si trattò della liberazione di Roma e del Plebiscito di questa.