Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/177

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Otto giorni dopo tutta la nostra brigata andò a bere da quel gentiluomo artista ed enologo. Quando noi Italiani avemmo bevuto i Tedeschi esclamarono:

— Ora a noi!

E giù a bere. Bevevano a piccoli centellini, parlando raro. Pareva che per essi il vino facesse vece di respiro. E seguitavano, seguitavano, un bicchiere dopo l’altro, finchè noi Italiani ce ne andammo per i fatti nostri, lasciando i Tedeschi alle prese con un grandissimo tinozzo di vino. Quando l’ebbero asciugato, ciascuno degli Alemanni, grave come compreso di una sacramentale funzione compiuta, riprese la sua via.

La mattina appresso trovammo il capitano attaccato ad una staccionata; nè si poteva rimuovere, egli essendo ostinato e compreso dal dovere di reggerla mentre girava.

In quel tempo si fabbricava il gran ponte dell’Ariccia. Ed il Villers s’era addormentato su uno dei piloni in costruzione.

Egli avea gran barba, era una specie di Mosè. Il ponte è un viadotto; ed egli prima di staccarsi dai compagni diceva:

— È una vergogna che si butti via tanto danaro per far un ponte sì grande dove non c’è acqua da passare.

E, battendo con una bacchetta le pietre, sparse.... acqua per conto suo e si addormentò.... La stessa cosa avea fatto, ubriaco, in altro giorno ad una fonte secca.

Noi Italiani, dopo la poderosa bevuta, si andò a cantare per le vie di Albano, dando la caccia ai gatti e tirando qualche sassata ai lampioni che ci giravano intorno.

Castelli, temperante e vegetariano, ci ha raccontato, dopo, queste cose; e battezzò il mio bastone «la spranga elettrica dell’amicizia».

L’architetto divenne nostro amico a tutta prova.


Negli strapazzi e nelle imprudenze del mio lavoro sul vero, a qualunque ora del giorno, alle prime luci dell’alba ed anche col tempo più rigido, mi buscai un fiero malanno che,