Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/190

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È un luogo che ha in sè tutta la poesia della Campagna Romana. Era rifugio di malfattori fuggiaschi da Roma, perchè essendo sede di febbre mortale, la polizia malvolentieri vi si arrischiava.

Arrivati staccammo il cavallo e gli togliemmo il finimento; ma, entrambi mal pratici, sfibbiammo più del necessario. E ci trovammo ritti e pieni di stupore nel vederci ai piedi il finimento in tanti mai pezzi.

Domandammo asilo al casale per la notte. Ci venne offerto di dormire assieme ai lavoranti in un gran camerone poco odoroso e meno pulito, sopra certi pagliericci di vario colore e molto animati. Dovemmo accettare. Alla mattina il «capoccio» svegliò a pedate gli uomini da marra; i quali russavano tanto potentemente che se il grande dormitorio avesse avuto vetri li avrebbero fatti tremare.

Per fortuna noi eravamo desti, così non ci facemmo arrivar la efficacissima sveglia, quivi usata. Volemmo mettere assieme il finimento del cavallo, ma non raccapezzandoci, spazientiti, pensammo bene di liberarci del nostro equipaggio e scrivemmo a Roma perchè venissero a riprenderlo. E tanto più che per giungere al mare, dove contavamo alloggiar nella torre dei finanzieri, la strada da percorrere era tutt’altro che carrozzabile. Il bello si fu che la donna del casale, scoprendo dalla faccia di Mason ch’era inglese, pretendeva uno scudo di mancia per il servizio, essa diceva, della notte che era consistito nel rischio di essere destati a pedate.

Si arrivò a Tor Paterna carichi del nostro bagaglio. Implorammo alloggio dai finanzieri e l’ottenemmo.

Il paesaggio era tanto bello che si poteva credere il mondo nel sesto giorno della creazione.

Percorse circa tre miglia sulla spiaggia, ciascun di noi trovò il fondo che gli bisognava per il suo soggetto. Il Mar Tirreno, la rena che il mare baciandola livellava, la rena accumulata dal vento, le piante malmenate dalle tempeste e vegetanti a stento. E la rena alzata in alti tomboleti, che facean da riparo