Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/201

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Ciò ne dice come sia stato lui ad indicare agli artisti la via del sapiente intrigo e dell’insolente ciarlatanismo.

A dare idea del rispetto che il Vertunni avea per l’arte sua, dirò come egli tenesse nel proprio studio, pagandoli un tanto il giorno, giovani artisti di talento per abbozzargli i quadri e fargli copie che vendeva come roba sua. Dopo di lui si scaricò tutta la torbida e vorticosa fiumana napoletano-spagnola che ha portato via troppe zolle della vecchia buona terra romana.


Liberata nel ’70 Roma, questa gente, il cuor della quale mai una sola volta avea palpitato agli ideali della Patria e della Libertà, uscita fuori, come sorche da fogne romane in tempo di alluvione, ha detto: L’Italia è fatta noi ne saremo il genio.

Il pubblico di Roma non essendo, generalmente, educato all’Arte ed al buon gusto, quel tipo di artisti non poteva contrastare; gli uomini di governo, ignari e senza alcun senso d’arte, invece di ricercare e di incoraggiare l’arte sana e vera, hanno preferito la popolarità, timorosi da un lato della insolenza degli artisti intriganti e, dall’altro, giovandosi per accrescer se stessi del ciarlatanismo della cricca di quelli e dei loro banditori. E poichè Lamartine avea detto l’Italia terra dei morti, quei governanti han creduto di rivivere facendo ai morti far monumenti da artisti che mai non fur vivi. Ed han riempito i Ministeri di quadri di Vertunni e della sua troppo numerosa scuola.


Venne instituita una «Galleria Nazionale» sulle basi Sommaruga. Nella quale, fatte poche ed onorabili eccezioni, è rappresentato l’accattonaggio e l’intrigo. Volendo leggere in questo libro risulta la rivelazione di come venne fatta l’Italia: per insperata fortuna, cioè, per simpatia dei più eletti spiriti del mondo civile, grati a questa vecchia terra culla e maestra ai popoli dell’umana civiltà; ma per virtù di ben pochi fra gli Italiani.