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«I cittadini qui sottoscritti tengono per certo che di gravissimo momento sarebbe nei consigli del Principe una domanda solenne del Municipio Romano. Essi confidano pure che questo Municipio, chiamato a rappresentare nelle pompe il Popolo Romano, non ristarà, per qualsiasi riguardo, dall’esprimerne i voti.

«Roma, 1.° Settembre 1857.»

(firme)


Quantunque così mite, i preti di Vaticano, quando di questo indirizzo seppero il contenuto, divennero furibondi. Tutta la polizia fu messa in moto per poterne sorprendere qualche copia con le firme. Fece perquisizioni ed una delle più feroci e disoneste venne fatta in casa del maestro di musica Borna che abitava al Campidoglio. Giunsero perfino a denudare la moglie e le figliuole.

Con tutto ciò si raccolsero molte migliaia di firme, benchè la fiacca aristocrazia romana avversasse questo indirizzo. Badiamo bene che la nobiltà aveva una grande influenza su la popolazione, perchè padrona della maggior parte della terra dei latifondi. Per cui dipendeva da essa tutta la classe degli affittuari e tutta la gran folla di persone che svolgono la loro attività intorno alla proprietà fondiaria e ne campano. Non era più la nobiltà, e molta parte di essa mai lo era stata, che imbrandiva spada ed indossava corazza. Ma era gente tremebonda dinanzi ad un nicchio da prete. D’altra parte, data la posizione di privilegio da essa goduta, alle novità mancava nel proprio interesse un forte incentivo ed a desiderar mutamenti.


Era difficile di trovar persone che presentassero l’indirizzo al capo del Municipio, il quale era, a quei giorni, Filippo Antonelli fratello del Cardinale Segretario di Stato.

Questo incarico della presentazione fu assunto da quattro Romani, i quali furono: l’ingegner Leonardi, Vincenzo Tittoni, David Silvagni ed io, Giovanni Costa.