Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/250

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Si deve pur dire che questo verace amore per l’Arte così riempiva la vita dell’artista, che ad esso faceva minori i bisogni materiali. Cosicchè era più fraterna, più patriarcale; ed, anche, più alla buona Arte propizia.

Da quella che era a quella che è, la vita degli artisti non si riconosce più!...


Quanto sopra dico per spiegare come di slancio io accogliessi l’appello di Leighton di soccorso a Mason inerte ed infelice, pur dovendo con ciò rinunciare a tutti i miei piani per la mia stagione di lavoro sul vero.

Così, sistemate le mie cose a Firenze, partii per l’Inghilterra e mi recai direttamente da Mason a Wetley Abbey. Trovai, purtroppo, che Leighton era stato assai esatto nel dipingermi lo stato del povero nostro amico. La salute di lui, prima di tutto, era ben miserevole. Molto, in specie, egli era sofferente per mal di cuore; ciò che non gli concedeva di poter dare al suo lavoro altro che poche ore alla settimana, quantunque — e ciò, anzi, contribuiva non poco ad angustiarlo — avesse alle mani parecchi quadri per commissioni ad esso per la massima parte ottenute da Leighton.

Ricordo, fra i lavori di Mason che trovai abbozzati, un delizioso quadro, allegorico secondo il gusto del tempo, rappresentante un fanciullo che guardava alcuni alberi, inspirato da alcuni noti versi del poeta Hood. Altro quadro, poi, egli avea cominciato che ora si trova nella collezione del Reale Castello di Windsor. Questo, che Mason avea ceduto al prezzo di sessanta sterline, alla Regina Vittoria veniva venduto per seicento sterline.

Lo avermi con sè fece subito bene al caro amico; parlando d’arte, evocando tanti episodi dei nostri bei giorni di Roma e della Campagna, dell’Ariccia, delle spiaggie tirrene, Mason si rinfrancò ed a poco a poco — è proprio vero che il morale agisce sul fisico — le sue forze andarono riprendendo e con queste gli tornò la possibilità ed il gusto di lavorare. La «Black