Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/257

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espressione della natura, si specchiasse nell’acqua nell’atteggiamento stesso nel quale la Lionne mi era apparsa. Questa, che avea amore all’Arte, acconsentì di posar nuda nella foresta, come ninfa vivente, nella tenue luce che vi penetrava attraverso il fogliame degli alberi.


Ritornato a Firenze, io cominciai subito a riportare il bozzetto sulla tela alla grandezza del vero.

Gli effetti di luce e di colore, che io ho cercato di raggiungere in questo mio quadro, hanno fatto che sia stato per me un grande sforzo artistico. Anche la forma mi ha molto preoccupato, essendo sempre alla ricerca della perfezione di questa. Credo che, per una parte o per l’altra del loro corpo, ma specie per le gambe, tanto difficili a trovarsi in tutto perfette, io ho avuto a modello, di certo, un centinaio e più di donne. Fra queste signore tali che non si sarebbe mai pensato potessero consentire a tale ufficio; alle quali, però, piacque di concorrere alla creazione di un’opera d’arte.

Per parecchio tempo io fui tanto geloso di questo mio lavoro che lo mostravo soltanto a pochi privilegiati amici e confratelli in Arte. A costoro, molte volte, parve essere il quadro giunto a tale grado di perfezione da non potere essere condotto più avanti.

A me non è ancora apparso tale da interamente soddisfarmi. Da questo mio lavoro non ho potuto mai a lungo separarmi. Quando, più tardi, io venni inviato a Roma, onde riordinarvi le cose del movimento nazionale, quando gli eventi si andavano maturando, questo quadro io portai con me.

Rimasto a Roma dopo Mentana, lo stesso rischiò di essere, con ogni altra cosa mia, confiscato dal Governo Pontificio. Generosi ed accorti amici riuscirono a salvare tutta la mia roba; ed io non fui contento fino a che non mi fu dato di riavere la ninfa nel mio studio di Firenze.

Non poca confusione si fa per i titoli dei miei varii quadri; sia perchè ne ho dati diversi ad uno stesso quadro, sia perchè