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mio studio di Via Margutta e di prodigarmi i segni della loro maggior simpatia e considerazione. A mezzo di tali miei preziosi amici io contrassi non poche altre care ed interessanti amicizie, di quelle che elevano l’animo ed accrescono il pregio della vita.

Se nel 1882 io potei decidermi ad arrischiare, durante la season a Londra, una esposizione di circa sessanta miei quadri; se la stessa ebbe, per ogni riguardo, il maggior successo ch’io potessi desiderare, fu perchè mi sentiva solido il terreno sotto i piedi per la cooperazione alla buona riuscita che quegli incomparabili amici mi prodigarono.

E la riuscita fu tale che nella grande metropoli fui, quell’anno, per qualche settimana, come uno degli uomini del giorno. E mi toccarono, da me punto desiderate e talvolta a me piuttosto fastidiose, onoranze che a Londra si è consueti tributare alle personalità in vista, anche straniere, che durante la season si trovino in quella capitale. Così, ad esempio, dovetti intervenire a non so più qual grande banchetto officiale che il Lord Mayor suole dar ogni anno in quella occasione. Tutte cose alle quali io mi rassegnavo di buon cuore, principalmente perchè mi pareva che gli onori che si tributavano a me si volgessero anche all’Italia ed all’Arte Italiana, che, a quei tempi, veramente, non erano molto considerate.


Fu in quella occasione che mi avvenne un fatto nel quale non so ancor dire se, allora, io mi conducessi come io avrei dovuto. Il Principe di Galles, futuro Eduardo VII, avea a quell’epoca, essendo la Regina Vittoria già innanzi negli anni e schiva di mostrarsi in pubblico, una specie di rappresentanza, per talune circostanze, della Sovrana. Così, certo per i buoni uffici degli amici miei, non mancò di venire a visitare la mia grande mostra. Ciò che, se era un grande onore per me e per l’arte mia, era, pure, poichè colà i personaggi reali poco si prodigano, un grandissimo richiamo al pubblico elegante e ricco, che si addensa a Londra durante quei mesi, per la mia mostra.