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«Un giorno, specialmente, mi è rimasto nella memoria, nel quale con Costa e Leighton andammo o, meglio, io gli incontrai fuor della Porta Nomentana.

«Cominciammo tutti a lavorare. Leighton ed io eravamo rapidi ed avevamo già fatta una impressione, quando Costa venne a guardare il nostro lavoro. E disse:

«— Sì, questo è ammirevole, ma lo è per una volta sola.

«Io andai a vedere quello che avea fatto lui. Egli aveva disegnato ogni contorno con cura, egli avea studiato ogni piano ed avea dipinto solo i punti di valore. A qual punto avesse Leighton portato il suo schizzo io non so: solamente so che il mio pende al muro come una semplice impressione, quello di Costa divenne un quadro.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«Questo voglio dire: se quello che io ho dipinto di paesaggio ha un merito io lo debbo alla mattutina influenza di Giovanni Costa o, come meglio noi amiamo chiamarlo, di Nino.»

XXXV.


IL «CENTRO D’INSURREZIONE».


Ai primi del 1867 la Quistione Romana entrava in uno stadio assai acuto e gravido di eventi.

Garibaldi percorreva da un capo all’altro la penisola severamente ammonendo gli Italiani esser loro impreteribile dovere di restituir Roma all’Italia. “Roma o Morte„ era divenuto il grido della più ardente e generosa gioventù italiana.

La «Consorteria», la quale tuttora funestamente incombeva sui destini d’Italia avea Roma sulle labbra, per non rendersi odiosa al paese; ma non l’aveva di certo nel cuore e continuava ad intonare quelli che capeggiavano il «Comitato Na-