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Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/294

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ebbi anche la gran fortuna di avere intorno gente assai fidata. Amici di ogni classe sociale, molti popolani: non un traditore!... Il portiere dello stabile nel quale si trovava il mio studio in Via Margutta, certo Michele Santolamazza, sua moglie e sua figlia mi furono preziosi e resero non pochi intelligenti e fedeli servigi, durante molti anni, alla causa della libertà di Roma.


Ma, a salvarmi da tanti pericoli, nei quali avrei molto probabilmente finito per lasciar la pelle, venne pure assai propizia una gravissima malattia. L’umidità di un muro fresco di uno dei tanti miei rifugi, nel quale avevo dormito più notti, acutizzò l’artrite di cui ho tanto nella mia vita sofferto. Per curarmi mi nascosi in casa di mia nipote Adele Narducci; medico mi fu il solito omeopatico dottor Ladelci.

Guarii abbastanza presto ed incontratomi in un dei nostri, certo Morelli, che non avea saputo più nulla di me, nel rivedermi mi abbracciò commosso ed estremamente maravigliato di vedermi vivo. Egli che sapeva quanto fossi esecrato dai nemici politici e come questi me l’avessero giurata, la mia scomparsa avea seriamente attribuito alla criminosa opera di questi.

Con altri amici mi avea pianto morto. E mi disse tutto lieto:

— La tua artrite ti ha salvata la vita!... Tutto il male non vien per nuocere.