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DELL'ONORE E DELLA VIRTU. 3

indicandoci il nome di Bouizzo, soggetto a noi incognito, il quale fece riparare il Tempio nel 1011.

Nella medesima pittura dalla parte destra del Crocifisso, a lato del buon ladrone, si ravvisa un figura di matrona in piedi, che porta il nome scritto; CALPVRNIA; forse di una antica cristiana proveniente dalla famiglia Romana di tal nome; ed è credibile, che questa facesse convertire questo tempio de' Gentili in chiesa de' Cristiani.

L'ultima riparazione che ha avuto questa chiesa seguì nel 1634, come ricavasi da una memoria esistente in un codice della Biblioteca Barberini, ove è notati, che queste antiche pitture essendo guaste dal tempo, per ordine di Urbano VIII, furono ritoccate, allorché ristorò questa chiesa per riporla in uso de' sacrificj, già da lungo tempo in essa abbandonati. Allora chiusi irono gl'intercolunnj del portico co'muri, per farvi l'abitazione del sagrestano, e riparare con ciò la ruina del tempio, che minacciava da questa parte.


CAPITOLO SECONDO

tavola vii e viii.


Avendo già parecchie volte indicato, che l'opera è laterizia, ornata di colonne e di architravi di marco; ora per mostrare maggiormente la sua bellezza, non tralasciamo di dare in questa VII Tavola le sue principali modinature che ritratte abbiamo in grande, unitamente con quei ornamenti che della vita esistono. In tal modo verrà a comprendersi qual dovesse esser la diligenza, e la perizia de' manuali di somigliante lavoro a mattone arrotato; e per la delicatezza e varietà della struttura, che rendono il tempio altrettanto bello, quanto è antico.

Il misto de' materiali, che qui si osservano, può esser paragonato con quello ricordato da Vitruvio nelle fabbriche de' Tempj di Giove e di Ercole che erano in Atene; le celle de' quali furono costrutte a mattone, e le colonne, e i corniciami di pietra1. Così appunto è la costruzione di questo Tempio, come con Vitruvio medesimo dimostreremo.

Riguardo alle modinature basterà ciò, che abbiamo detto a piè di questa Tavola. In essa però ammirasi nel mezzo, segnato colla lettera O, un ornato di figura ottagona, che racchiude dentro della sua cornice due figure, una di uomo, e l'altra di dona, le quali mostrano esser il Sacerdote, e la Sacerdotessa della Divinità del Tempio. Gli uccelli che tengono in mano indicano indicano gli auspicj, che prendevano per mezzo di essi, innanzi di sacrificare.

Ambedue queste figure sono a capo scoperto, contro il consueto rito de' Romani, poiché i Sacerdoti sacrificando si velavano il capo. Da questo contrassegno ci facciamo strada per scoprire la divinità, che onoravasi in questo Tempio.

Al solo Onore sacrificavasi a capo scoperto, dandosi ad adesso quel medesimo onore di scoprirsi la testa, che era solito di perticare inverso gli uomini degni di onore. Questa è la cagione di un tal rito, notato da Plutarco nelle Quistioni Romane, ove dice: An quod honor splendida est res, illustrisque, et aperta: qua de caussa etiam egregios, et honoratos viros capite retegendo venerantur; ideo Numini quoque ejusdem nominis hunc ritum exhibent2.

Gli altri ornamenti di stucco che restano nella fascia sopra l'imposta della volta rappresentano elmi, spade, corazze, e scudi di ogni sorta, come disegnati sono nella presente Tavola. Tutti questi attrezzi militari comprovano le azioni valorose de' soldati, che mercè la loro bravura riportavano in dono da' loro Imperadori. Questi ornamenti di arme offensive e difensive, ed altre apprendevansi nel donario del Tempio dell'Onore.

Di tal collocamento abbiamo di sopra parlato in occasione di descrivere l'interno della Cella. Soggiungiamo per altro, che gli armarj accennati potevano ancora contenere, le vesti e le corone de' Cavalieri Romani, per la pompa della solenne cavalcata, che in appresso dichiareremo.

Nella Tavola VIII, si ravvisa un Ara eretta ad onore di Bacco, chiamato da' Greci Dionisio, ed è uno di quei' monumenti antichi trasportato a qualche uso della Chiesa. Ora qui serve per sostenere la conca dell'acqua santa, che è posta nella parte destra entrando in Chiesa. Prima della ristorazione fatta da Urbano VIII, secondo che nota il Martinelli, era in altro luogo del Tempio collocate3

Sia qui permetto di avanzare una congettura sopra di quest'Ara, la quale potè essere qui trasportata dal predio vicino di Aproniano posto nella via Latina, dal nome del quale prende la denominazione il Cemitero che è in questa via. Forse questo Aproniano fu il Padre di Dione Cassio, e Prefetto della Cilicia, ed essendo egli di Sicilia, l'iscrizione, che lèggevi nell'ara è in lingua Greca, e sua nativa. Il significato di essa dichiara, che Aproniano sacerdote, o sacro interprete dei misterj di Bacco, o sia Dionisio, la dedicò. Dalla forma medesima delle lettere si riconosce esser carattere greco, e del secolo di Trajano, tempo appunto coevo ad Aproniano.

Avvolge il corpo dell'Ara un serpente galeato, o cristallo, simbolo consueto che portavasi nella celebrazione delle orge di Bacco; nelle quali, secondo che scrive Eusebio Panfilo, serviva di un certo contrassegno dell'arcano rito4.

Sia parimente lecito di avanzare un'altra congettura sul supposto, che l'Ara sia stata nel Tempio antico de' Gentili, che noi crediamo dell'Onore e della Virtù, intendendo però di quello posto fuori della porta Capena. In questo Tempio potea certamente esser un Ara dedicata a Bacco, come a quegli che fu ripotato inventore del principal onore, che per mezzo della virtù e valore militare quindi ottenevano gl'imperadori, che dopo la vittoria avevano riportato salvo l'esercito in Roma. Ad essi trionfanti nell'allegrezza della celebre pompa, che facevasi dall'entrare in città per salire al Campidoglio, dal popolo acclamavano col cognome di Bacco5. Al qual costume allude Orazio in questi versi:

Tuque dam procedis, Io Triumphe
Non semel dicemus, Io Triumphe
Civitas omnis, dabimusque Divis
Thurs benignis6

Quest'Ara posta quivi nel tempio anticamente, o di poi trasportata da altro luogo ha fatto giudicare, che la Chiesa di S. Urbano fosse dedicata a Bacco; e questa opinione non solo è stabilita presso del volgo, ma altresì dagli scrittori, che delle Chiese di Roma parlano. Aggiungono di più, che il nuovo titolare S. Urbano fosse in questo tempio onorato come Bacco; e fondano questo sentimento sopra di una Cronaca, che non citano, ove dicono esser notato, che esso santo, pro Baccho coli cœpit7 Altri poi per coonestare un tal errore dicono, che appariva sotto di una delle pitture cristiane un frammento delle antiche, con simboli di Bacco. Noi per quanta diligenza ed attenzione abbiamo usato per rinvenirlo, non ci è riuscito; ma bensì abbiamo riconosciuto, che l'intonacamento delle ultime pitture è rinnovato secondo le prime.


CAPITOLO TERZO

Della Fondazione, Dedica e Ristorazione del Tempio.


Il primo, che pensasse di erigere questo Tempio all'Onore, fu M. Marcello, che trionfò di Siracusa, avendone fatto voto nella guerra Gallica a Classidio della Liguria. Ma i Pontefici, a' quali apparteneva la giurisdizione delle cose sacre, opponendosi alla dedicazione di un Tempio, che servir dovesse a due Deità, egli n'edificò un altro in fretta alla Virtù separatamente da quello, e vi pose le statue dell'Onore e della Virtù8. In questo Tempio, secondo che scrive Livio, pose quegli ornamenti che dalle arti de' Greci riportò da Siracusa, essendo stato il primo che pose in mostra a' Romani, collocandole per ornamento di questo medesimo Tempio da lui fabbricato fuori dalla Porta Capena, nome della prima regione estramuranea, secondo la divisione fatta da Augusto della città di Roma.

Diciassette anni dopo il voto fatto nell'anno di Roma 562, M. Massimo suo figliuolo dedicò, come unanimemente scrivono Cicerone9, Livio10, e Plutarco11. M. Marcello nipote di Quinto Massimo, che fu tre volte Console, uomo di grandissima virtù, di pietà, e di gloria militare, che perì in mare secondo Cicerone12, di cui Asconio Pediano nota13, che fu nipote di quel Marcello, che nella seconda guerra Punica vinse Siracusa, ed ottenne cinque Consolati, e dice, che naufragò nell'Africa poco prima che incominciasse la terza guerra Punica.

Di esso parimente racconta, che in detto tempio pose per ornamento le statue dell'avo, del padre, e la sua coll'iscrizione: TRES . MARCELLI . NOVIES . COSS . ed aggiunge: fuerat autem avus quinquies, pater semel, ipse ter. Riflette questo scoliaste: che egli non mentì, anzi presso gl'infornati accrebbe lustro al Padre, dicendo ch'ebbe un sol consolato.

Ristorò questo Tempio l'imperador Vespasiano, secondo che attesta Plinio parlando de' pittori celebri, che seguirono a Lucio, il quale fiorì nell'età di Augusto, e tra essi numera Cornelio Pino, ed Accio Prisco. Post cum fuere in auctoritate Cornalius Pinus, et Accius Priscus, qui Honoris et Virtutis ædes imperatori Vespasiano Augusto restituenti pinxerunt14. Vero è, che Plinio non fa menzione della Porta Capena; nondimeno il sito delle pitture appare certissimo ne' vani, che abbiamo indicati nelle Tavole V, e VI, e in essi furono sostituite ne' tempi bassi, e quindi rinnovate quelle, che ora vi sono.

Da questa ristaurazione fatta da Vespasiano viene il nome di Palatium Vespasiani, dato a questo monumento fuori dalla Porta Capena15. Dal bollo di una tegola, che riportiamo nella Tavola VII, veniamo in cognizione, che il Tempio ebbe altresì altra ristorazione, seguita ne' tempi degli Antonini, indicandolo il nome di Faustina Augusta, che vi si legge.

De' Tempj dell'Onore, e della Virtù, che Simmaco chiama gemelli, e che dall'uno si passava nell'altro, parlano altri scrittori antichi. La conferma di questa opinione è appoggiata di Vitruvio, che parlando degli architetti Romani, de' quali si erano perduti i scritti, fra gli altri nomina Cajo Muzio; ed ecco l'elogio, che ne fa: «Questi, dice egli, col suo gran sapere tirò colle vere leggi dell'arte le proporzioni e della Cella Marcelliana, e delle colonne, e de' corniciami ne' Tempj dell'Onore e della Virtù: opera, la quale se fosse stata di marmo, ed avesse perciò avuto non solo il pregio delle finezza dell'arte, avrebbe il merito della magnificenza, come anche della spesa, e perciò verrebbe fra le prime numerata».

Ecco il passo originale di Vitruvio, che interamente trascriviamo restituendolo alla sua genuina lezione, ancorché altri diversamente l'intendano, appoggiati a ciò che fino ad ora abbiamo esposto circa questo Tempio. Sed etiam a Cajo Mutio, qui magna scientia confisus ædes Honoris et Virtutis Marcellianæ Cellæ, columnarumque et epistyliorum symetrias legitimis artis institutis perfecit: id vero si marmoreum fuivsset, et haberet, quemadmodum ab arte subtilitatem, sic a magnificentia, et impensis auctoritatem in primis et summis operibus numeraretur16. Qui merita che soggiunghiamo la conclusione, che egli fa in questo luogo, cioè, che quantunque pochi scrittore vi siano stati di qua' molti Romani, tanto antichi, quanto moderni, eccellenti architetti al pari de' Greci, che abbiano scritto degli insegnamenti intorno all'architettura17, fra essi però Muzio fu l'architetto de' Tempj dell'Onore, e della Virtù, annoverati fra i più celebri dell'antichità; delle di cui opere una è questa, che da noi si è dichiarata, la quale da sì lungo tempo ancora esiste.

É chiara la testimonianza di Livio circa il sito dei nostri Tempj, cioè che fosse fuori della Porta Capena, leggendosi al libro XXV, così: Videbantur enim ab externis ad portam Capenam dedicata a Marcello templa, propter excellentia ejus generis ornamenti, quorum perexigna pare comparet.

Con ragione l'abbiamo intitolato dell'Onore, e della Virtù, essendo stato ad ambedue primieramente da Marcello destinato; imperocchè l'altro, ch'ei incominciò dopo l'inibizione de' Pontefici separatamente dal primo col titolo della Virtù, benché ne affrettasse la costruzione, non potè aver il contento di dedicarlo, poiché morì. Furono compiti ambedue, e dedicati dal figliuolo diciassette anni dopo il voto fattone, come di sopra abbiamo detto.

Dell'altro Tempio della Virtù fabbricato da M. Claudio Marcello, non trovarsi più segni distinti, ma sapendo da Simmaco che erano gemelli, e che da quello

  1. Lib. III, cap. 8
  2. Num. 13.
  3. Rom. Etim. Sacra.
  4. Præp. Evang. lib. II, cap. 3.
  5. Varro, de ling. lat. lib. V.
  6. Carmin. Ode II.
  7. Ritratto di Roma moderna del 1638, pag. 129.
  8. Valer. Max. lib. I, cap. 50.
  9. De natur. Deor. lib. II, cap. I.
  10. Lib. XXVII, cap. 25, et lib. XXIX, cap. 11.
  11. In vita Marcelli, et de for. Pop. Rom.
  12. In Ora. pro M. Scauro.
  13. Num 89.
  14. Hist. natur. lib. XXXV, cap. 10, sect. 37.
  15. Ceneius Camerarius in lib. Polit.
  16. In Præfactione lib. VII.
  17. Ivi.

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