Pagina:Raccolta di rime antiche toscane - Volume primo.djvu/115

Da Wikisource.

115

IX.


Non mi credeva tanto aver fallato,
Che mi celasse mostrar suo chiarore
La rosa del giardino, a cui son dato,
Perder potesse per altrui furore;
Non sò, perchè mi avvenga, isventurato;
Che sopra me non fu mai servidore
D’amarvi, fresco giglio dilicato;
Nova ferita avì data al mio core.
Per Dio vi prego, non sïate altera;
Poi che ’l mio core avì ’n vostro tenore,
Nol sdegnate tener vostro servente:
Non è ragion, che lial servo pera:
Se ciò avvien, gran falsità fa Amore,
Lo quale nasce cotanto sovente.


X.


Dolente, tristo, e pien di smarrimento
Sono rimaso amante disamato:
Tutt’or languisco, peno, e sto in pavento,
Piango, e sospir di quel, ch’ho disiato:
Il mio gran bene asceso è in tormento:
Or son molto salito, alto montato:
Non truovo cosa, che m’ sia valimento,
Se no’ com’uomo a morte giudicato.
Ohi lasso me! ch’io fuggo in ogni luoco
Poter credendo mia vita campare;
E là ond’ io vado trovo la mia morte:
La piacente m’ha messo in tale fuoco,
Ch’ardo tutto, e incendo del penare;
Poi me non ama, ed io l’amo sì forte.

P 2