Pagina:Raffaello - Lettera a Leone X, 1840.djvu/46

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acquedotti neroniani dell’acqua Claudia in sul monte Celio, ed altrove, che apertamente si scorge essersi adoperate scale, per portare tant’altro così nefanda devastazione. Opera era questa di barbarie e di miseria. Ma quanto più orrende cose non abbiam noi veduto eseguirsi a questi ultimi tempi! Non mura scrostate, ma distrutte: non monumenti guasti, ma troncati. Cadere, non so se per malvagità od ignoranza, esimie parti di antiche fabriche, intatte alle mani degli sciagurati e dei barbari: horresco referens!

(13) La torre della milizia è quella inchiusa oggi nell’orto del monastero di Santa Caterina da Siena, che il volgo chiama torre di Nerone, e narra aver’egli dall’altezza di essa mirato l’incendio della città, acceso per proprio suo ordine.

(14) La bussola, istromento allora di recente invenzione, e quì minutamente descritta da Raffaello. Errò certamente il Giovio, che nell’elogio dell’urbinate, fatto pubblico dal Tiraboschi, ad esso Raffaello ne attribuì l’invenzione. Forse è più simile al vero, ch’egli per il primo l’adoperasse, onde ottenere le esatte misure degli edifizi; e questa opinione troverebbe per avventura un sostegno in quanto ne scrive egli stesso nella presente lettera.