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ideale, il nostro concetto sulla morale, è completamente nel dominio della logica storica, un risultato naturale della evoluzione dell’umanità.

Oppressi dal terrore dell’ignoto, come pure dal sentimento della loro impotenza nella ricerca delle cause, gli uomini hanno in passato creata una o più divinità provvidenziali nel loro intenso desiderio, le quali rappresentavano per loro, volta a volta, un ideale più o meno informe ed il punto d’appoggio, il fulcro di tutto questo mondo misterioso, visibile ed invisibile, che ne circonda.

Tali fantasmi della immaginazione, rivestiti di onnipotenza, divennero agli occhi degli uomini il principio d’ogni giustizia ed autorità; padroni del cielo, ebbero per conseguenza, interpreti sulla terra, maghi, consiglieri, capitani, davanti ai quali gli uomini si prostrarono come se quelli fossero davvero emanazione dall’alto.

Era logico; ma l’uomo dura più delle sue opere, e questi iddii da lui creati non hanno cessato di trasformarsi continuamente, come ombre proiettate nell’infinito. Visibili da principio, animati da passioni umane, violente e terribili, rincularono a poco a poco nella lontananza immensa; finirono col diventare astrazioni, idee sublimi alle quali non si può dare un nome, finchè non arrivarono gradatamente a confondersi con le stessi leggi naturali del mondo; e rientrarono così nell’universo materiale, che secondo la leggenda avevano creato dal nulla.

Così l’uomo oggi si vede solo sulla terra, al disopra della quale aveva già innalzato la immagine colossale di un Dio.

La concezione delle cose va sempre più cambiando. Se Dio si dilegua, coloro che da lui derivano il diritto di comandare vedono anch’essi sparire il proprio falso splendore, e sono costretti a rientrar nelle file e accomodarsi all’ambiente. Oggi non sarebbe possibile trovare un Tamerlano capace di comandare ai suoi quaranta cortigiani di gettarsi dall’alto di una torre e sicuro di vedere, in un batter d’occhio, di tra i merli, quaranta cadaveri informi e sanguinolenti.

La libertà di pensare ha reso anarchici tutti gli uomini, senza che questi se ne sieno accorti. Chi mai, ora, non si riserba un cantuccio del proprio cervello per riflettere e pensare a suo modo? Ed ecco precisamente il più grande dei delitti, il peccato per eccellenza simbolizzato dal frutto dell’albero che rivelò all’uomo la scienza del bene e del male. Di qui viene l’odio che la chiesa ha sempre portato alla scienza; e qui aveva origine il furore con cui Napoleone, un Tarmerlano moderno, trattava sempre gli «ideologi».

Ma gli ideologi sono venuti! essi hanno soffiato sulle illusioni di un tempo come su bolle di sapone, ricominciando daccapo tutto un lavoro scientifico di osservazioni ed esperienze. Uno di essi, nichilista prima dei tempi nostri, e anarchico se ve ne fu mai, almeno a parole cominciò col fare «tabula rasa» di tutto quanto aveva imparato. Ed ora non vi è scienziato o letterato che non sostenga di essere egli stesso il proprio maestro modello, il pensatore originale del proprio pensiero, il moralista della propria morale.

«Se tu vuoi elevarti, elevati da te» disse Goethe.

E gli artisti non cercano anche loro di riprodurre la natura tal quale la vedono, la sentono e la comprendono? È vero che ordinariamente per essi trattasi di una specie di «anarchia intellettuale» non rivendicante la