Pagina:Relazione 28 febbraio 1861 (Comitato Nazionale di Fano).djvu/9

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A lui tutti gli occhi si rivolsero, a lui tutti i cuori bentosto. Erano dunque possibili autorità, ordine, giustizia in Italia, e quindi grandezza, quiete, libertà, senza ricorrere, all’opera lunga, faticosa ed incerta di tutto demolire per ricostruir tutto. V’erano nel presente, nelle istituzioni accettate e provate in Europa una forza e un punto d’appoggio che potevano esser leva possente alla gloria e all’unità della patria, senza evocare da un lontanissimo passato nomi e concetti non rispondenti alle mutate condizioni dei tempi, ai mutati costumi degli uomini, e che per questo solo intimorivano, se non offendevano, molti legittimi interessi, molte oneste convinzioni. V’era un angolo di questa terra finalmente, dove si poteva, anzi era lodato e protetto, parlare d’Italia, proclamarne altamente i diritti, alzarne il venerato simbolo tricolore, svergognare e combattere i suoi nemici senza coprirsi di misterioso silenzio, riunirsi in tenebrose congreghe, ed affilare i pugnali a suprema, ma unica difesa dal ferro del galeotto, dalla forca dell’assassino. Era possibile dunque un Re galantuomo non solo conservatore, ma promotore assiduo di quelle stesse franchigie, per le quali si era tanto patito e combattuto, e che erano il sospiro di tanti oppressi, come furono l’ultimo voto di tanti martiri!

Felice disinganno! chi non farà sagrificio di un vano nome alla realtà vera delle cose? di un’effimera forma esteriore alla interna sostanziale solidità? di un’intima e individual preferenza alla universale unione e concordia? — Il centro, il nesso era trovato. Il discendente dei Dogi, l’incorrotto cittadino, l’intrepido difensore di Venezia repubblicana, ultima a cedere nel 1849 all’Austriaca rabbia, alzò la sua voce veneranda per mostrarlo ed inculcarlo all’Italia, e fu l’ultimo grido di Manin. — ll filosofo liberale e religioso, il pensatore profondo, l’autore del Primato di Roma Cattolica, riconosciutolo impotente a salvar la Nazione, vi sostituiva il Rinnovamento civile, e la militare egemonia di Torino, e fu l’ultima parola di Gioberti. — Lo stesso illustre instancabile agitatore, che da trent’anni unico scuoteva, in mezzo al generale letargo, la infralita fibra dei popoli colla ardente eloquenza della parola, coi mistici riti delle segrete congiure, colle brevi e disperate riscosse, per cui un lampo generoso di vita solcava la terra dei morti, Mazzini stesso diceva