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Presi posto a fianco di una giovane ragazza, la quale era seduta precisamente sotto uno scheletro, il quale digrignava i denti, e che stava conversando allegramente colla sua vicina, di cose le quali accennavano di tutt’altro che alla morte: pensoso e quasi atterrito, stava contemplando la reliquia mortale e la sua giovane preda, sulla quale stendeva le mani, imperocchè la ragazza era seduta in guisa che la si sarebbe detta caduta fra le braccia dello scheletro. Era propriamente la danza dei morti del nostro Holbein rappresentata al vero.

Tutti gli scheletri sono collocati in altrettante nicchie, attorno alla cappella. Ognuna di essi tiene fra le ossa delle mani un cartello, su cui sta scritto una sentenza morale, un ricordo della vanità della vita, una esortazione ai vivi di pregare per i morti che soffrono e sperano. Non dovette essere poca l’abilità artistica e la pazienza, richieste per disporre tutta questa funerea decorazione. Qui, parte delle mura, furono ricoperte unicamente di teschi di ragazzi, qua, di quelli di persone adulte, altrove vennero formati arabeschi di clavicole, di costole, di ossa del petto, delle dita, di articolazioni. Gli stessi candelabri sono formati in modo fantastico di ossa umane, ed è maraviglioso a scorgere come il senso artistico, e la legge estetica siano pressochè riusciti a vincere il ribrezzo ispirato dalla materia impiegata. Ma ad onta che l’arte sia riuscita a tanto, che abbia scherzato colla morte, ridotto a creazioni artistiche quanto ispira maggior ribrezzo ai viventi, quanto sogliono tenere sepolto nelle viscere della terra, quello spettacolo riesce tuttosa penoso e repulsivo. Mi parve rappresentare il culmine della abnegazione religiosa la più fanatica, o nella forma la più bizzarra il trionfo sopra la morte, e sopra l’orrore che dessa ispira. Se fosse possibile che una di queste cappelle mortuarie dell’anno 1853, dopo la nascita di Cristo, rimanesse sepolta sotto terra, tanto tempo quanto le tombe degli Egiziani e degli Etruschi, e venisse scoperta dopo tre mille anni, sarebbe fuor di dubbio un monumento importantissimo per la storia della ci-

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. 10