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Ristori. Vi si recitano frequentemente, come in Germania, traduzioni dal francese, e raramente produzioni di Goldoni, di Silvio Pellico, e più raramente di Alfieri, troppo inviso alla censura papalina. Tutti questi teatri rientrano nella sfera di questi cenni, sui costumi e sulle cose di Roma.

IV.

Se non che è oramai tempo di calare il sipario, e di ricollocare tutti questi fantocci entro le loro case. «Nella comedia, del pari che in questo mondo, dice don Chisciotte, recitano imperatori, papi e cento altri personaggi; ma quando si arriva al fine, quando scompare la vita, giunge la morte, la quale tutti spoglia degli abiti, dei costumi per i quali si riconoscevano, si differenziavano; nella fossa sono tutti uguali.»

Ed ora, lettori miei, voglio presentarvi un personaggio romano, il quale sta esposto rigido, e morto sul suo letto di parata fra le torcie che ardono, contemplato avidamente a bocca aperta da numerosa folla, particolarmente di popolani, i quali non osavano innalzare i loro sguardi verso di lui mentre era in vita e che si toglievano timidi e rispettosi il cappello, allorquando passava nella sua carrozza di gala. Desso era un cardinale. Ora giace in una stanza del palazzo della Consulta, steso sul letto di parata, rivestito de’ suoi abiti rossi principeschi. Che apparato meschino, per un uomo il quale governò lo stato romano, ed il cui nome fu congiunto agli avvenimenti più grandi della storia contemporanea! La camera è piccola e neanco delle più pulite. Le stoffe di seta nera del letto di parata sono vecchie, logore, macchiate, rappezzate in più di un sito, ed hanno per certo servito già a più di un cardinale. Ardono due candele. Un sacerdote in piedi contro un leggio recita le preghiere per i defunti. La folla entra e sorte. Si compone nella maggior parte di operai, di donne, e di ragazzi, i quali contemplano con indifferenza la faccia

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. 12