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zura, interrotto qua e là da numerosi villaggi e castelli. Si stacca dalla Serra una linea di colline, la quale scende al piano verso il fiume, e sulle sue vette biancheggiano borghi e città. Al lato opposto, sorgono colline stupende, di minore altezza, contrafforti dei monti Volsci, i quali stanno di fronte alla Serra, a poco più di un’ora di distanza, in altra forma non più piramidale, ma di dorsi imponenti.

Su tutte le vette, nelle gole dei monti si scorgono borghi, città, monasteri, tutti innondati di luce. Regna un silenzio solenne, imponente; il profilo dei monti in quella atmosfera azzurra, limpidissima, compaiono così precisi che se ne possono contemplare i minimi accidenti. Al di là della Serra, sorgono qua e là tinte di color violaceo, altri monti appartenenti agli Abruzzi, e più lontano ancora altri di forme molteplici e svariate, coperti di nevi, i quali richiamano la fantasia all’idea di altre ignote o lontane regioni.

Chi potrebbe rappresentare sulla tela la bellezza di questo paesaggio, all’ora in cui il sole cadente tinge le cime dei monti di tutti i colori dell’Iride, ed in cui la valle si fa ad ogni istante più oscura? La notte scende allora lentamente sulle splendide pendici della Serra, le città, i borghi scompaiono poco a poco gli uni dopo gli altri, in fino a tanto tutto resta immerso nelle tenebre. Qua e là alcuni raggi di sole sul tramonto, illuminato tuttora scintillando le finestre del lontano Serrone, di Roiade, di Piglio; quindi l’una dopo l’altra anche queste scompaiono, ed anche il castello di Pagliano si perde nella oscurità, se non chè, più oltre, i raggi del sole morente splendono tuttora sulle finestre di una città nera, posta su di un colle che quasi tutto ricopre, e che per la sua estensione compare tosto più ragguardevole delle altre città dei dintorni. La vidi fin dalla prima sera, e dal carattere della contrada riconobbi tosto, senza punto cadere in errore, che la doveva essere Anagni, patria di Bonifacio VIII, e salutai il suo apparire a lungo desiderato, coi versi di Dante:

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. I. 20