Pagina:Ricordi storici e pittorici d'Italia.djvu/388

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campana che mi pareva quasi voce sopranaturale, e mi serei alzato volontieri per andare io pure nella chiesa, se non avessi temuto di peccare d’indiscrezione verso i monaci. Mi riaddormentai al loro canto, ed era appena sorta l’alba, quando la mia guida venne picchiare alla mia porta, avvertendomi essere ora di partire per Veroli.

Partii dal monastero senza avere potuto ringraziare il padre superiore della sua buona accoglienza, non avendo visto altra anima viva che il portinaio, ed il servitore, il quale si scusò di non potermi recare il caffè che mi aveva annunciato alla sera, imperocchè anche l’ora dello asciolvere è fissata dalla regola. L’annuncio mi tornò poco grato, giacchè la strada per arrivare a Veroli era lunga, ed io non era assuefatto come i monaci al digiuno. Mi vendicai con un pezzo di pane che Francesco aveva posto in serbo, e con saporite more selvatiche, raccolte in vicinanza al monastero.

Il mattino era di una bellezza stupenda in quella regione montuosa, la quale variava di aspetto ad ogni tratto di strada. Corre questa per un’ora in cima al monte, a fianco del precepizio scavato nel corso dei secoli dal Cosa; quindi scende in mezzo a praterie naturali, circoscritte da selve di quercie, e di castagni. Camminavamo sempre sulle proprietà della Certosa. I cavalli dei monaci pascolavano sciolti in quelle praterie, e di quando in quando incontravamo mandre di capre; i pastori erano occupati attorno al fuoco, a convertire in cacio il latte di queste. La solitudine era di quando in quando interrotta da piccole fattorie, appartenenti per lo più alla Certosa, e l’aspetto di quelle regioni montuose era cotanto seducente, che mi parevano dovere essere felici coloro che ivi passano in piena tranquillità i loro giorni. Tutte le persone che incontrammo avevano buono aspetto, e non una di esse ci domandò la limosina. Dopo parecchie ore di strada lasciammo a tergo i monti, e sboccammo nella fertile campagna di Veroli, paese ragguardevole, che ci si presentò pittoricamente collocato sur