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agitate dal vento. Ma a che far parola della sua stupenda culla, a coloro che non potranno forse mai gettare uno sguardo su questa campagna smaltata di fiori, rallegrata da continua primavera? Quale stupendo panoramo di monti tutto all’intorno, quali tinte calde non si perdono nei vapori all’orizzonte! Cicerone fu figlio della pianura, non dei monti; desso, spirito vasto, radunò in se quasi fiume possente tutti i rivoli della scienza a suoi tempi; Mario per contro, fu figlio dei monti, nato propriamente in Arpino fra le mura dei ciclopi, e colassù vogliamo ora salire.

Vidi pochi terreni frastagliati come in questa patria di Cicerone; sorgenti, canali, ruscelli ad ogni passo e di tutte le tinte; ed in mezzo a tutto ciò, il rumore delle ruote, le grida dei lavoratori della campagna, ed il fracasso del nostro curricolo, il quale correva sempre a precipizio. Passammo nella pianura, a fianco di parecchi casini, e bei giardini, quindi lasciata la valle del Fibreno, cominciammo a salire il monte per una bella, e buona strada. La distanza di Sora ad Arpino è di sei miglia, quattro dei quali corrono in una regione coltivata ad oliveti. A misura che si sale vengono mancando le case, e di raro se ne incontra una per istrada. Arrivai finalmente ad Arpino verso l’una pomeridiana, ed entrai nella città per l’antica porta romana.

III.

La patria di Cicerone e di Mario, conta attualmente diciasette mille abitanti. Le strade vi sono strette, la piazza piccola, ma non mancano case le quali hanno apparenza signorile. Del resto la città è morta, e non vi si scorge indizio di attivita industriale. In quasi sutte le città delle Romagne esistono chiese antiche; Arpino non ne possiede veruna, sebbene anticamente la sua cattedrale fosse tempio dedicato alle nove muse. Ora è dedicato quello agli Angeli, quasi fosse stato d’uopo della musica celeste

F. Gregorovius. Ricordi d’Italia. Vol. II. 7