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rivista di cavalleria 234

quel carattere transitorio che permise alle nuove idee di affermarsi gradatamente, lasciando alle vecchie il conforto di una prolungata agonia.

Ringraziamolo dunque questo regolamento e togliamone come un ammaestramento che in nessuna innovazione, e tanto meno in quelle militari, si può procedere a salti.

È risaputo quanto sia difficile di estirpare dai nostri reggimenti certe abitudini buone e cattive che nessuno sa come siano sorte, nè come e perchè vadano tramandandosi da classe a classe mentre il personale cambia di continuo. Eppure tali abitudini che si esplicano in mille particolari, dall’appellativo di un oggetto di corredo all’esecuzione di un segnale di tromba, si innestano perfino con lo spirito di corpo sì che ognuno di quelli che vi appartiene si fa religioso dovere di assumerle e di tramandarle. Chissà perchè, ad esempio, in un reggimento lancieri di mia conoscenza si debba continuare a chiamare barroccio la carretta da battaglione, e in un altro si chiami baracchino la gavetta, mentre in tanti altri reggimenti questi appellativi sono sconosciuti? E chissà perchè uno stesso segnale di tromba si continua a ripetere con una speciale cadenza da corpo a corpo sì da renderlo quasi di difficile intelligenza per chi non vi ha ancora fatto l’orecchio, mentre le note musicali che il regolamento prescrive sono le stesse per tutti ed uguale è il ritmo nel quale dovrebbero essere ripetute?

Ciò m’è venuto alla mente leggendo la proposta del Caprilli per semplificare (?) i comandi da usarsi nella cavallerizza. L’idea è certamente geniale ed ha una base logica, ma non credo che la sua applicazione sarebbe così semplice come a prima vista potrebbe apparire; inoltre, non sarebbe scevra da inconvenienti inerenti alla sua sostanza. Il regolamento, non bisogna dimenticarlo, è fatto più per gli istruttori che per il soldato: questo ne riceve le nozioni ed è chiamato ad applicarlo per bocca degli ufficiali e dei graduati, sarebbe anzi grave errore, com’è accennato nella premessa generale, l’ammanire al soldato complicate spiegazioni degli esercizi e più ancora il pretenderne la ripetizione. Ora io ritengo che il trasformare d’un tratto il sistema dei comandi della cavallerizza darebbe luogo a non poca confusione per parte degli istruttori, sia per dover dimenticare quanto è oramai tradizione inveterata, sia per le difficoltà stesse che presenterebbe l’esecuzione degli esercizi individuali secondo le avvertenze indicate ai n. 170 e seguenti.

L’ideale d’una istruzione d’equitazione secondo i principi oggi generalmente riconosciuti sarebbe di servirsi della cavallerizza per fare