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358 giovanni mulazzani


V.

GENOVA.


Non è molto che il cavaliere Gandolfi pubblicò quattro libri su la moneta antica di Genova, sottilmente elaborati, in cui prese a trattare tre punti singolari, sostenendo l’esistenza di quella Zecca avanti il noto privilegio del re dei Romani, Corrado, del 1139; vendicando ai Genovesi l’invenzione del fiorino d’oro sopra i Fiorentini, e sforzandosi di chiarire l’intricata ed oscura serie dei Dogi che si leggono nelle monete dei secoli XIV e XV. Ad altri lascierò di giudicare se la meta sia stata toccata dall’autore, ed in ogni caso, se vi fosse prezzo dell’opera a coglier palme di falsa municipale gloriola o per disutili cronologie interessanti, più che la storia, le famiglie private di quella città.

In quanto a me, legge essendomi imposta d’internarmi nelle zecche oltre la metropolitana nostra, solamente dopo che diventarono nazionali per l’ingrandimento di mano in mano avvenuto dello Stato, mi trasporterò senza indugiare al 1353, in cui l’arcivescovo Giovanni Visconti, che da noi stringeva con egual forza la spada e il pastorale, ne fu acclamato principe per la fama delle sue virtù e della sua potenza, onde far riparo all’afflitta fortuna di quella repubblica per le rotte navali toccate dai Veneziani in quel tempo. Verosimile cosa è, che durante il suo governo, benchè solo di due anni, la Zecca di una città, in eminente grado