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la zecca di tresana 39

Il reato era pur troppo assai comune a quei tempi, in cui una folla di signorotti inondavano l’Europa di monete adulterate, trincerandosi dietro inconcludenti privilegi di zecca: in questo caso però sembra che i falsari fossero andati troppo oltre tantoché se ne mossero da varie parti accuse a Francesco Guglielmo. Fu pronto questi a scrivere al luogotenente ingiungendogli di incarcerare l’Anglese e di istruire processo contro di lui; ma il Baldissori che stava male in coscienza, lasciò fuggire lo zecchiere e poco dopo egli stesso si ridusse in salvo. Allora il marchese recatosi in persona a Tresana potè far arrestare l’ebreo Salomone e raccolte le prove del delitto fu fatto con sollecitudine il processo ai tre delinquenti, tantoché il 20 novembre 1598 il podestà di Tresana emanò la sentenza con cui il maestro di zecca veniva condannato al rogo e il luogotenente alla forca, ambedue poi alla confisca dei beni; l’ebreo Salomone pagò anche pei due contumaci, giacché condannato a perpetua prigionia, di li a poco morì in carcere.

Lo spiacevole avvenimento fece rumore per tutta Italia e si credette da molti alla colpabilità di Francesco Guglielmo: anzi il papa Clemente VIII, che era stato danneggiato dalle contraffazioni di Tresana imitanti le monete romane e bolognesi, fondandosi su non so quali diritti fece istruire un processo contro il Malaspina e con monitorio del 14 agosto 1600 lo citò a comparire insieme ai suoi complici davanti la Curia Pontificia per giustificarsi e difendersi, sotto pena di essere condannato in contumacia ove non comparisse e comminandogli anche la multa di diecimila ducati d’oro.

Il marchese in sì duro frangente, preso consiglio da’ suoi amici e specialmente dal granduca Ferdi-