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sulla riduzione in peso dell'asse romano | 17 |
mitivo stava all’argento come 34 a 1! com’è che non tornò più nei rapporti primitivi? e com’è che oggi il bronzo sta all’argento come 20 a 1?
Dinanzi a osservazioni così stringenti ogni altra interpretazione potrà essere ammessa, meno quella del fallimento, come dice Mommsen; del lucro, come dicono tutti gli scrittori; dell’inganno, come altri azzarda, per pagare con 1 un debito di 24.
Si dirà che fu un corso forzoso. Ma in questo intento uno Stato non ricorse mai al metallo valore: in ogni modo il corso forzoso non sarebbe cessato mai, e si richiedeva un bisogno eccezionale transitorio, il quale nemmeno mai ricorse per Roma, come ora vengo a dimostrare.
Che Roma si sia trovata a diverse epoche in grandi ristrettezze, non può negarsi; ma a tutto riparò sempre con grande onore della Nazione, col sacrifizio dei suoi cittadini; nè mai alcuno scrittore di quel tempo ci ha riferito che bruttasse le pagine della sua bella storia con un atto immorale, come quello della riduzione della moneta, per far fronte a note calamità.
Ma per l’appunto l’epoca nella quale si verificò la riduzione dell’asse fu la più florida di Roma.
Il primo impiccolimento a 1/6 si effettuò dopo la disfatta di Pirro e la presa di Taranto, le quali fruttarono a Roma tante ricchezze che giammai viste si erano.
La prima guerra punica si chiuse a danno dei Cartaginesi con un’imposta di 1000 talenti per spese di guerra, e di 2200 talenti per contributo da pagarsi in 10 anni: in tutto 3200 talenti che ammontavano a 76 milioni e 800 mila sesterzi: ciò non ostante i Romani si avviarono alla seconda riduzione che restrinse l’asse al peso di un’oncia.
Quarant’anni dopo la prima guerra punica,