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monete di milano inedite 63


2. Pegione (gr. 2.470). — 2a Var. 4 -6 c. s.

D/ — Come il precedente.

R/ – • S - AMBROSI • MEDIOLAN. Come il precedente.

Coll. Papadopoli. Arg. R. L. 2.


    Maria Sforza (V. n. 6 di questo principe). Il conio poi che servi al dritto di quest’ultimo si ripete al rovescio dell’altro di Francesco li Sforza (V, n. 7, Tav. XXII, n. 5). — Tali collegamenti e tali ripetizioni inducono naturalmente a supporre che tutti questi pezzi siano contemporanei. Li attribuiremmo volontieri a Lodovico il Moro, come il principe magnifico e ambizioso della sua stirpe; e in tal caso bisognerebbe supporre che alcuni dei conii da lui apprestati fossero nuovamente impiegati dai suoi successori. Ma forse converrà attribuirli a Francesco II Sforza, l’ultimo dei duchi di Milano, rappresentato nella serie di questi medaglioni, quantunque la vita agitata e le preoccupazioni politiche di questo principe non lo additino come il più naturalmente indicato a quest’opera artistica. In ogni modo è fuori di dubbio che essi appartengono alla fine dell’epoca Sforzesca.

    LA LIRA DI GIAN GALEAZZO.


    Un’altra importante osservazione dobbiamo fare a proposito del pezzo volgarmente e impropriamente detto Lira di Gian Galeazzo, da noi pubblicato tra le sue monete d’argento al N. 2 (pag. 45) e del quale riportiamo il disegno:

    [immagine da inserire]

    Questa moneta non è certamente dell’epoca che vorrebbe rappresentare. Avendo riesaminato attentamente i vari esemplari custoditi nelle collezioni da noi citate, oltre a quello della collezione Bertolotti, e avendo sentito anche il parere di vari numismatici nostri amici, siamo venuti nella convinzione che questo pezzo o è una medaglia o un gettone dell’epoca sforzesca, o più probabilmente è una falsificazione prodotta verso la fine del secolo decimosettimo e che non può in alcun modo appartenere all’epoca di Gian Galeazzo.

    Dapprima il suo peso, affatto discorde da quello di tutte le monete di Gian Galeazzo e troppo saltuario e variante da un esemplare all’altro (oscilla tra gr. 6,30 e gr. 8,60); poi il busto, che non troviamo in alcun’altra moneta milanese di quell’epoca, l’abito stesso del Duca, la poca somiglianza del suo ritratto, i caratteri che, per quanto tentino di imitare e imitino abbastanza bene quelli dell’epoca viscontea, esaminati attentamente, non sono identici e lasciano scoprire lo sforzo dell’imita-