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36 vincenzo capobianchi

Egli escluse quei più deboli ed inferiori, che ritenne dovere appartenere alla specie della moneta nuova bruna, abbenchè i più scadenti superassero la metà di valore del meno antico pavese della vecchia moneta.

Per formare la moneta nuova bruna questi residuali denari Enriciani mal si adattavano, avendo i più deboli come dicemmo maggiore intrinseco di quello che si richiedesse. Il Brambilla perciò immaginò nuove divisioni, principiando coll’elevare il valore del vecchio pavese dell’ultima specie (n. 3) a centesimi 18, in luogo di 16 come richiedevasi per due genovini da centesimi 8 ossia per due terzi di centesimi 24, valore del pavese antico (n. 2); ed in questo modo formò la moneta bruna con denari Enriciani da 12 e da 9 centesimi. Allorquando però egli giunse all’atto di concordia del 1162 ed alla tariffa genovese del 1164, ove per il nuovo peso del marco veniva determinato il valore intrinseco dell’ultima specie della moneta nuova, fu allora che si convinse che di quella mancava la specie effettiva, non essendo noti fin’ora denari pavesi del valore di centesimi 5 o poco più.

L’ordinamento dato dal Brambilla alla serie dei denari Enriciani, oltre che trovasi in disaccordo coi documenti, ove per moneta vecchia e moneta nuova sono indicate due distinte e differenti specie di danari, presenta inoltre un gravissimo quesito: come mai tutte quelle monete apparentemente uniformi, e che senza ordine avevano tutte le gradazioni di valore e di peso, potevano fra loro esser distinte? Al nostro illustre scrittore non sfuggì questa gravissima circostanza, sulla quale egli sorvolò, dicendo che il peso e la superiorità dell’intrinseco dovè servire di guida a discernere nel comune corso le migliori specie; il più scarso peso ed il meno brillante aspetto dei pezzi, le inferiori. Noi siamo dolenti di non poter