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il museo bottacin 219

continuo della sua storia di ben sedici secoli, attende ancora, non diremo chi ne sappia, ma chi ne voglia illustrare degnamente i fasti monetali: imperocchè di tanta dottrina ella è sempre ostello, che ove un impulso fosse dato, o per opera di un solo, o con mezzi riuniti, una si deplorevole lacuna non tarderebbe a scomparire. Perchè, ciò che fu fatto con ottimo successo nel Belgio ed altrove non potrebbe tentarsi per questa ed altre città d’Italia, instituendo concorsi che avessero per oggetto la storia delle loro monete? Non è forse argomento codesto meritevole dei riflessi delle illustri accademie che onorano quasi tutte le città italiane? E non sarebbe tale compito opportunissimo a quest’ora in cui con nobilissima gara, alle sonnifere Arcadie d’un tempo che fu, vanno subentrando associazioni più positive e commissioni ch’hanno per iscopo lo studio della storia patria? Per Milano poi in ispecialità sono tutti i materiali già pubblicati e tanti ve ne saranno al certo d’inediti che di molto ne sarebbe facilitato il lavoro per quei generosi che volessero intraprenderlo.

Le monete dei bassi tempi e moderne della zecca di Milano raccolte nel museo ch’è obbietto di questa rassegna sono numerose, perchè oltrepassano le duecento, non comprese quelle delle Repubbliche Cisalpina ed Italiana, del Regno Napoleonico e del Regno attuale.

La più antica è il denaro a monogramma che primo il Le Blanc assegnò a Carlo Magno, ma che in tempo a noi vicino, con altri simili d’altre zecche, diede argomento a vivacissime controversie sostenute da sì valenti campioni che arduo poteva sembrare il definitivo giudizio se spettasse a Carlo Magno, a Carlo il Calvo od a Carlo il Grosso; sennonchè le ragioni addotte in fine a favore del primo dal chiariss. sig. dottore Vincenzo Promis nei suoi studi sulla origine della zecca veneta, sembrano sì convincenti da consigliare il bando d’ogni altra opinione. Viene secondo il denaro di Lotario I; poi seguono un denaro largo di Lodovico II e tre denari più larghi semibratteati di Carlo il Grosso, di Guido di Spoleto e di Berengario I, i quali, quantunque privi del nome di questa città vi appartengono senza contrasto, perchè pari tecnica, peso, lega e modulo osser-