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DISSERTAZ. DI A. NIBBY. 37

ratis lapidibus strata, unde vice aggere dixit. Ammiano Marcellino (lib. XIX. c. 16.) lo chiamò AGGER ITINERARIUM: et tamquam itinerario aggere, vel superposito ponte complanatum spatium quod inter murum, congestamque forinsecus struem hiabat, patefecit hostibus transitum nullis obiicibus impeditum. Questo stesso motivo fece dare; ancora alla supersicie delle vie il nome di SUMMUM DORSUM, come si è veduto in Stazio:

Et SUMMO gremium parare DORSO.


Il pavimento facevasi in diverse maniere la più commune, era di farlo di grandi pietre poligone tagliate ad angoli, le quali univansi così bene da lasciare le commessure presso che impercettibili, e far parere la via come composta dello stesso masso. Ciò si vede chiaramente in quelli avanzi di antiche vie che, malgrado il tempo, e la barbarie ancora ci sono rimasti. Della via Ostiense, e della via Appia, si vedono ancora i residui; è celebre il pezzo della via Albana o trionfale al Tempio di Giove Laziale; avanzi magnifici della via Tusculana sono stati recentemente scoperti lungo le mura di quell’antica città; rimane ancora un’avanzo ben conservato della via che menava al tempio di Diana, e che si vedono nello scendere al lago di Nemi sotto i Cappuccini di Genzano; altri se ne veggono a Lanuvio fuori della porta, verso mezzo giorno, altri presso Tivoli dell’antica via Tiburtina presso la villa di Mecenate; e un lungo tratto della via Prenestina si vede ancora poco prima di giungervi, dopo avere passato S.Cesario. Tutti questi avanzi sono dello stesso genere circa la loro superficie esterna, cioè, come io diceva, sono composti di massi grandi poligoni tagliati ad angolo, la pietra di cui sono composti è una lava basaltina, che si rinviene in molti luoghi presso Roma, e specialmente se ne trovano cave vicino al lago Regillo sulla via Labicana; una ve ne ha sotto il castello diruto della Molara; una sotto i Cappuccini di Genzano, una presso Boville, una presso il sepolcro di Metella etc. Questa sorta di pietra dicevasi dagli antichi Silex, o lapis Siliceus; e lapidicinæ siliceae appellavansi i luoghi donde traevansi: noi 1a chiamiamo volgarmente selce. Vitruvio mostra la qualità di questa, e delle altre pietre, che si usavauo nelle costruzioni, al capo VII. del II. li-