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compagni nei duelli, portata fino al furore nel regno di Francia, vi fu abolita per quelle sole parole di un editto del re: «Riguardo a quegli che hanno la viltà di chiamare dei compagni». Quel giudizio prevenendo il giudizio del pubblico, lo determinò tutto ad un tratto. Ma quando i medesimi editti vollero pronunciare essere pure una vigliaccheria il battersi in duello, il che è verissimo, ma contrario alla opinione comune, il pubblico rise di una tale decisione, intorno alla quale aveva già formato il suo giudizio.

Dissi altrove1, che l’opinion pubblica non essendo sottomessa alla violenza, non ve ne doveva essere neppur l’ombra nel tribunale stabilito per rappresentarla. Non si può ammirare abbastanza l’arte, con cui quella molla del tutto perduta presso i moderni, era posta in azione presso i Romani, e meglio ancora presso i Lacedemoni.

Un uomo di cattivi costumi avendo messo fuori un buon parere nel consiglio di Sparta,

  1. In questo capitolo altro non fo, che indicare ciò che trattai più a lungo nella lettera al signor D’Alembert.