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336 antonio e cleopatra


SCENA III.

La stessa. — Dinanzi al palazzo.

Entrano due soldati di guardia.

Sol. Fratello, buona notte: dimani è il gran giorno.

Sol. Tutto si deciderà; addio. Udiste nulla di strano per le vie?

Sol. Nulla: quali novelle?

Sol. È probabile che non fosse che un vano romore; buona notte.

Sol. Ebbene, camerata, buona notte.

(entrano due altri soldati)

Sol. Soldati, fate buona guardia.

Sol. E voi pure: buona notte, buona notte.

(si vanno a porre ai loro posti)

Sol. Noi ci metteremo qui; e se domani la nostra flotta ottiene vittoria, son sicuro che l’esercito non si arretrerà.

Sol. È un generoso esercito, e pieno di risoluzione.

(si ode musica sotto terra)

Sol. Silenzio, qual romore?

Sol. Ascoltate, ascoltate!

Sol. Udite!

Sol. Musica per aria.

Sol. Sotto terra.

Sol. Presagisce bene, non è vero?

Sol. No.

Sol. Silenzio, dico. Che significa ciò?

Sol. È il dio Ercole, che un tempo amava Antonio, e che ora lo abbandona.

Sol. Passeggiamo; guardiamo se altre scolte odono quel che udiam noi.     (si avanzano verso un altro posto)

Sol. Ebbene? amici?

Varii Sol. Ebbene? che è ciò? udite ciò?

Sol. Sì; non è strano?

Sol. Udite ciò, compagni? udite?

Sol. Seguiamo questi suoni fino agli ultimi limiti della nostra guardia; vedremo come ciò finirà.

Varii Sol. Vediamo: è ben strano.                         (escono)