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184 tito andronico


Mess. Degno Andronico, tu sei ben male ricompensato del sagrificio di questa nobile mano che mandasti all’imperatore; ecco le teste dei due tuoi virtuosi figli; ed ecco la tua mano che, ti si rimanda con disprezzo: i tuoi dolori son loro di sollazzo, e il tuo coraggio è un soggetto di risa. Soffro più pensando ai mali tuoi, che ricordando la morte del padre mio.     (esce)

Mar. Ora l’Etna bollente si estingua in Sicilia, e il mio cuore sia un inferno ardente di eterni fuochi! Ah! troppo sono questi mali, perchè si possano tollerare! Piangere con quelli che piangono è di qualche sollievo; ma un dolore che insultato viene è una doppia morte.

Luc. Ah! è egli possibile che tale atroce spettacolo faccia nel mio cuore sì profonda ferita, e che nondimeno la mia vita non cessi? È possibile che la morte lasci a questa detestata esistenza ancora il suo nome, sebbene per esser tale essa più non abbia che la facoltà di respirare?     (Lavinia lo bacia)

Mar. Oimè! povero cuore, quel bacio è senza consolazione, come un’acqua agghiacciata per un serpente sfinito dalla fame.

Tit. Quando finirà questo terribile sogno?

Mar. Addio ora, illusioni, addio! Muori, Andronico; no, tu non sogni. Mira le teste dei tuoi due figli, mira la tua mano recisa, la tua figlia mutilata, l’altro tuo figlio bandito, pallido e languente a sì orribile vista; ed io tuo fratello muto ed immobile come statua di marmo. Ah! non cercherò più di moderare la tua disperazione; divelliti i bianchi capelli, squarciati coi denti l’altra mano tua; a serie sì crudele di guai chiudi alfine i tuoi occhi troppo sfortunati! Ecco il momento di abbandonarti a tutta la tempesta della tua rabbia; perchè sei tu tranquillo?

Tit. Ah, ah, ah...     (ridendo)

Mar. Tu ridi? Strano in tal momento.

Tit. Non ho più una lagrima da versare, e questa disperazione è un nemico che vorrebbe a forza di pianti acciecarmi. Per quale strada troverò io la caverna della vendetta? perocchè quelle due teste sembrano parlarmi e minacciarmi di non mai entrare nel soggiorno della felicità, fino a che tutti questi misfatti ricaduti non siano sopra coloro che gli han commessi. Su dunque veggiamo qual missione mi resta a compiere. — Voi, tristi compagni, circondatemi onde io possa rivolgermi verso ognuno di voi, e giurar meco stesso di vendicare i vostri danni. Il voto è profferito. — Andiamo, fratello, prendi una testa; ed io porterò l’altra con questa mano. Lavinia, tu pure sarai impiegata in tale impresa, portando fra i denti l’altra mia mano. Tu, giovine,