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ATTO QUINTO 191


Duc. V’è un frate che mi parlò di lui. — Prigioniero, si dice che tu hai un’anima stupida, che non vedi nulla al di là di questo mondo, e che su tal tua opinione regoli la tua condotta; tu sei condannato, ma quanto ai tuoi falli e alla loro punizione in questa terra, io te li rimetto. Usa di questo perdono per apparecchiarti ad una miglior vita. — Frate, illuminatelo coi vostri consigli, a voi lo affido. — Or chi è quell’altro che si tien così nascosto il volto col mantello?

Prev. È un prigioniero che ho pure salvato, e che doveva perir in pari tempo con Claudio: egli somiglia tanto a Claudio che si cambierebbe con esso. (toglie il mantello a Claudio)

Duc. (a Is.) Se somiglia a vostro fratello, ha già ottenuto il suo perdono in contemplazione di lui; e voi, Isabella, per amore del vostro cuor dolce, datemi la vostra mano, e dite che accettate la mia; egli è del pari mio fratello; ma rimettiamo ad altro momento questa bisogna. Ora il signor Angelo comincia a credere che i suoi giorni sian salvi; parmi di vedere un raggio di speranza ne’ suoi occhi. Su via, Angelo, il vostro delitto vi riesce ben vantaggioso. Pensate ad amare la vostra sposa, ella ne è degna. Sebbene senta nel mio cuore un’inclinazione alla clemenza, vi è pure fra di noi un uomo a cui non posso perdonare. Voi, amico, (a Luc.) che mi avete conosciuto per un insensato, un vile, un libertino, un tristo, ditemi in qual guisa ho meritato che faceste di me tal panegirico?

Luc. In verità, signore, non parlai così, se non perchè la moda lo esigeva. Se volete mandarmi alla forca per quei discorsi, lo potrete fare, ma più mi piacerebbe che mi faceste soltanto battere.

Duc. Battuto prima, e poscia appiccato, messere. — Prevosto, fate bandire per tutta la città che se v’è qualche donna oltraggiata da costui, come gl’intesi io stesso giurare che ve n’è una di lui incinta, si presenti a me, ed ei dovrà sposarla: compite le nozze sarà appiccato.

Luc. Scongiuro Vostra Altezza di non volermi accoppiare ad una prostituta. Vostra Altezza ha detto or ora che ho fatto di voi un duca, non vogliate ricompensarmene, mio sovrano, facendo di me un capro.

Duc. Sull’onor mio, la sposerai. Ti perdono le tue calunnie e tutte le altre tue offese, a patto che tu ti rassegni a questo matrimonio. — Guidatelo in carcere, e abbiate cura che i miei ordini siano eseguiti.

Luc. Ammogliarmi ad una donna pubblica, signore, è peggio che condannarmi alla forca.