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310 LA NOVELLA D'INVERNO

coll’intenzione, sia di fatto, i cuori di tutti quelli che m’ascoltano s’induriscano, e il mio più stretto parente gridi obbrobrio sulla mia tomba.

Leon. Non ho mai inteso dire che il vizio non avesse bastante impudenza per negare il delitto, che aveva avuta bastante impudenza per compiere.

Er. Quello che dite è vero in generale, ma io non ne merito l’applicazione.

Leon. Non vorrete dunque confessar nulla?

Er. Non posso confessar delitti che non ho commessi. Quanto a Polissene, (ch’è il complice che mi vien dato) dichiaro d’averlo amato, fin dove l’onore poteva permetterlo. L’ho amato come amar poteva una donna del mio grado: l’ho amato di quell’amore che voi m’avete imposto. S’io non l’avessi fatto, mi sarei resa colpevole di disobbedienza e d’ingratitudine verso di voi e verso il vostro amico, che posta aveva in voi da tanti anni la sua affezione. Della congiura di cui parlate, sono ignara, ma debbo dire che Camillo è un’anima onesta: il motivo che gli ha fatto lasciar la vostra Corte, è un mistero per me.

Leon. Voi eravate istrutta della sua partenza, come istrutta eravate di quello che dovevate fare mentre era lontano.

Er. Signore, parlate un linguaggio che non intendo; la mia vita dipende dalle vostre fantasie, e a voi l’abbandono.

Leon. Le mie fantasie! sono le vostre opere: voi avete avuta una figlia illegittima da Polissene, è verità o fantasia? Ma quando si commettono certi falli, si smarrisce ogni pudore, e si negherebbe resistenza degli Dei nel santuario. Non vi aspettate però clemenza da noi; la morte vi sta sopra.

Er. Risparmiate, signore, le vostre minaccie: quel fantasma con cui volete atterrirmi, è quello ch’io cerco. La vita non può essermi d’alcun diletto, la mia unica consolazione in essa era il vostro amore, ed io l’ho perduto quantunque non sappia come abbia potuto perderlo. Il figlio mio, il frutto delle mie viscere, mi è stato tolto come se infetta io fossi di contagio; la mia fanciulla, nata sotto la stella più infelice, mi venne strappata dal seno, che con casto e puro latte l’alimentava, e per essere trucidata. Io sono stata calunniata da un odio cieco, e trascinata mi son veduta a quest’udienza, prima che passati ancor fossero i giorni del parto. Dopo tanti mali, credete voi, signore, che si possa temer di morire? Proseguite il vostro processo, ma ascoltate ancora queste parole: pensate a non errare sul mio conto. No, la vita io non l’apprezzo; ma pel mio onore che vorrei giu-