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198 al polo australe in velocipede


— Gran Dio! esclamò Wilkye, impallidendo. Le pressioni!... Dove siamo adunque noi?

— Che si sfasci tutta la pianura? chiese Blunt, con accento di terrore. Non ho mai veduto una scena simile.

— Tenetevi pronti a fuggire, rispose Wilkye. Siamo nelle mani di Dio!...

— Ma dove volete fuggire, che tutta la pianura si solleva? chiese Peruschi. Siamo in mezzo ad una burrasca di ghiacci.

— Non lo so, ma, se il banco si fende, bisogna fuggire o verremo inghiottiti!

Intanto la grande pianura continuava ad agitarsi convulsivamente, a fischiare, a stridere, a muggire ed a tuonare con fracasso assordante. Vi erano certi momenti che si incurvava in alto, da temere che scoppiasse e, cosa davvero strana, degli ice-bergs sorti non si sapeva da dove, quasi fossero muniti di un motore, s’avanzavano attraverso ai ghiacci producendo delle spaccature tali da inghiottire una nave se si fosse colà trovata.

Quella convulsione spaventevole durò solamente pochi minuti, forse un quarto d’ora, poi il grande campo si spianò, le spaccature si chiusero, i fischi ed i muggiti cessarono e non si intese altro che un leggero fremito che agitava la crosta di ghiaccio su d’un vasto tratto.

— Sono cessate, disse Wilkye, respirando liberamente.

— Non si ripeterà questo fenomeno? chiese Blunt.

— Chi può dirlo? Le pressioni talvolta durano dei giorni interi.

— Ma da cosa derivano queste pressioni?

— Sono prodotte dai ghiacci: come voi sapete, l’acqua, gelando, occupa uno spazio più considerevole e la sua forza d’espansione è così potente, da rovesciare qualsiasi ostacolo.