Pagina:Salgari - Duemila leghe sotto l'America - Vol. II.djvu/53

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una eruzione di lave 51


vano con un fracasso tale da essere senza difficoltà udito ad una distanza di dieci e forse più miglia.

Pareva allora che l’intera montagna franasse. Tremavano le rocce, crollavano le vòlte, si fendevano le pareti lasciando il passaggio alle lave che fuggivano fuori con fischi acuti, precipitavano dall’alto e sassi e macigni con un frastuono orrendo e le bolle lanciavano verso il cratere, con una spinta formidabile, irresistibile, colonne di liquido ardente, sabbie, ceneri, frammenti di rupi, colonne di fuoco, colonne di fumo, colonne di scintille. E s’udivano detonazioni in alto, detonazioni al basso, e sotto quel lago fiammeggiante s’udivano cupi brontolii e poi boati spaventevoli che facevano nuovamente traballare le rupi e che staccavan nuovi macigni e che facevano crollare nuove vòlte.

Dopo quell’esplosione le lave tornavano ad abbassarsi, indi a montare, tornavano a formare nuove bolle e accadevano nuovi scoppi, nuovi getti di macigni, di sabbie, di ceneri, di liquido, di fumo, di fuoco, di scintille.

L’ingegnere e il macchinista, stretti l’uno vicino all’altro, tenendosi per mano, assordati da quei boati e da quegli scoppi, tuffati ora in mezzo alle nubi di fumo e ora in mezzo ai nembi di scintille, contemplavano con un misto di curiosità e di spavento quella voragine che non istava un solo istante nè silenziosa nè ferma. Mai avevano visto uno spettacolo simile; mai avevano udito tanti boati, mai avevano visto tante lave, mai tante fiamme, mai tante scintille e mai tanto fumo. Meritava di essersi spinti lassù, col pericolo di venire magari scottati, per vedere quella bolgia infernale.