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118 capitolo quindicesimo


Stava però per chiudere gli occhi e cedere al sonno, quando gli parve udire dal lato della parete contro cui si appoggiava il lettuccio, degli stridii inesplicabili.

Pareva che delle unghie robustissime grattassero l’esterno del fuso.

— Che sia il vento che rotola dei sassi contro la parete metallica? — si chiese. — Oppure qualcuno che cerca di arrampicarsi sul ponte? —

Un po’ inquieto s’alzò a sedere, tendendo gli orecchi. Il vento fischiava fortissimo al di fuori, imprimendo al fuso un leggiero fremito, causato probabilmente dalle ali, nondimeno udì distintamente certi stridori poco rassicuranti.

— Qualche animale cerca d’intaccare la parete metallica, — disse Rokoff. — L’alluminio non cederà di certo, ma se quella bestia giunge sul ponte e se la prende colle ali? —

Vedendo sospesa sopra il letto una grossa rivoltella, la impugnò, poi prese la lampada ed entrò nella cabina di Fedoro, che si trovava attigua alla sua.

Il russo dormiva profondamente, ben avvolto nella sua grossa coperta di lana.

— Svegliati, — gli disse, scuotendolo vigorosamente.

— Che cosa fai qui, Rokoff? — chiese il russo, aprendo gli occhi e guardandolo con stupore.

— C’è qualcuno che cerca di salire sul ponte.

— Hai sognato, Rokoff?

— Non ho ancora chiuso gli occhi.

— Chi può minacciarci? Qui non vi sono i manciù.

— Vi sono delle belve, però.

— Il boccaporto è chiuso e il fuso è solido.

— E se fanno a brani le ali? O se guastano le eliche e gli istrumenti?

— Hai ragione Rokoff, — disse Fedoro balzando dal letto e infilando rapidamente i calzoni. — Hai svegliato il capitano?

— Siamo in due e basteremo.

— Hai veduta la belva?

— No, invece l’ho udita. Vieni nella mia cabina e prendi anche tu la rivoltella. —

Fedoro si vestì e lo seguì frettolosamente.

— Odi? — chiese Rokoff, accostando un orecchio alla parete.

— Sì, il vento che urla.

— Ascolta attentamente, Fedoro.