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le trote del caracorum 137

sciutto ho i miei dubbi. Che i plantigradi non siano rari in queste regioni, è vero; ma trovarli subito, sotto la canna del fucile, non sarà cosa facile, — rispose Fedoro.

— Mi spiacerebbe non poter accontentare quello strano comandante. Sai che deve essere un bell’originale?

— Comincio a essere convinto. Non so; quell’uomo deve essere molto eccentrico.

— Allora sarà un inglese.

— Non credo non avendone la pronuncia.

— E perchè vuol conservare l’incognito?

— Non so che cosa rispondere, Rokoff.

— Che sia pazzo?

— Oh!

— Ha dei modi così bizzarri!...

— Non dico il contrario.

— L’altra volta, per esempio, l’aveva col the e come hai veduto, per procurarselo, per poco non comprometteva la sicurezza di tutti. Questa volta invece l’ha con le trote.

— È vero, Rokoff.

— Un uomo assai misterioso, Fedoro.

— Comunque sia noi non possiamo lagnarci di lui.

— Oh no, tutt’altro.

— Lasciamolo quindi fare; forse un giorno riusciremo a conoscerlo meglio ed a comprendere le sue eccentricità.

— E fors’anche a sapere da dove è venuto ed a quale razza appartiene.

— Lui e anche il macchinista.

— Toh! Chiacchieriamo come pappagalli e dimentichiamo gli orsi.

— Ne hai veduto qualcuno?

— Non scorgo che pini e abeti, betulle e pini. Se piegassimo verso il lago? In mancanza di orsi fucileremo oche e anitre.

— Saremo più fortunati e almeno non torneremo al campo colle mani vuote, — rispose Fedoro.

Lasciarono le macchie e si diressero verso il lago, il quale doveva essere vicinissimo, udendosi le onde sollevate dal vento siberiano, infrangersi contro le sponde.

Attraversate parecchie macchie, giunsero sulle rive d’una profonda insenatura sulle cui acque si vedevano volteggiare dei giganteschi volatili dalle piume candidissime e che mandavano dei lunghi fischi.